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venerdì, Ottobre 4, 2024

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Gino Paoli: “Appunti di un lungo viaggio”, 60 anni di memorabile musica – RECENSIONE

Eccoci qua a sentire l’ultima fatica di Gino Paoli, “Appunti di un lungo viaggio”, una raccolta strepitosa che rivisita i 60 anni di carriera del cantautore genovese (leggi articolo precedente). Lui in copertina ha la sua solita mise, occhiali scuri e camicia di jeans. La faccia del nostro dice già tanto, siamo in presenza di qualcosa di lombrosiano, tra l’altro molto più accentuatamente negli ultimi lustri rispetto al periodo giovanile: Paoli scrive e canta in modo esattamente coerente con il suo aspetto.

L’artista è l’uomo, diceva qualcuno, ed in questo caso è proprio così.

Nella sua scelta degli ultimi anni di esprimersi con situazioni acustiche, accompagnato da musicisti d’eccezione (ma veramente…), riconferma di essere innanzitutto un artista intelligente ma non solo, di essere un uomo colto che ha la percezione esatta dell’inutilità degli sfarzi e della fuffa che molto spesso le grandi produzioni usano per confezionare gli ennesimi “grandi eventi”, schiavi dei look e delle mode, alla perenne rincorsa del botto più forte.

Stiamo parlando di musica pop, ovvero canzoni cantabili, costituite da linee melodiche relativamente semplici, ambientate in armonie adeguate e corredate di buoni testi: in Paoli c’è tutto questo e giustamente egli ha pensato che non ci sia bisogno di altro, se non di buoni musicisti con sé.

Paoli non è un virtuoso della voce, canta con intensità, con musicalità, con la esatta continua percezione di quello che è bello o semplicemente utile alla bisogna e di quello che non serve, che può essere omesso senza rimpianti, ma di cui si avverte con sollievo l’assenza. Ha esattamente quel fattore X, quel quid che si va cercando nel marasma di proposte nuove, e meno nuove, che ci ammorbano più o meno da quando è cominciato questo nuovo millennio.

Gino Paoli canta con carisma.

Questo cd svolge un’opera meritoria, allo stesso tempo buona e crudele, ricorda a tutti che la musica pop dovrebbe essere comunque musica, per definizione e non solo, e che quella di qualità non è stata per niente seppellita dal recente trionfo dell’ignoranza e del pressapochismo.

A proposito di crudeltà, essa è totalmente involontaria, dato che questo cd esercita semplicemente una continua puntualizzazione dell’ovvio:

la musica e i suoi elementi vanno gestiti da qualcuno del mestiere, mentre i lavori dei dilettanti vanno classificati sotto un’altra definizione, esattamente come i video caricati all’impazzata da chiunque su YouTube non possono essere definiti cinema anche se fanno milioni di visualizzazioni.

Il lavoro parte con grandissima classe con le nuove composizioni eseguite in una forma inusuale, tra medley e film a episodi: musica, musica di alto livello fuori dalle varie strutture della canzone.

Non c’è nessun orpello, il dialogo tra Gino Paoli, Danilo Rea e l’Orchestra è esemplare, non fronzoli ma solo begli spunti melodici, belle armonie, contenuti, riflessioni, vita, poesia.

Sono però le arcinote “Che cosa c’è” e “Sassi” che irrompono e fanno saltare dalla poltrona: canzoni con una qualità di scrittura paragonabile al livello delle grandi songs americane del passato poi divenute “standards” di jazz. Qui sono accompagnate in maniera magistrale dal pianoforte con tanto di riarmonizzazioni, sostituzioni, parti improvvisate; in tutto ciò la Roma Jazz Strings Orchestra diretta da Marcello Sirignano interviene con un suono da paura, elegante e dinamico, perfettamente bilanciato, esponendo i bellissimi arrangiamenti con un’orchestrazione di livello veramente alto.

La crudeltà continua ad essere esercitata ma con garbo e leggerezza, per l’ovvio ormai è un trionfo: tanto per cominciare, se il testo si capisce (e non si rimpiange il contrario) vuol dire che il cantante sa il fatto suo, punto. Inoltre, se la linea melodica è espressa con efficacia, musicalità, addirittura swing come nel caso de “La gatta”, significa che il cantante sa cantare, e le chiacchiere sono a zero.

Quando l’entrata degli archi ti fa venire i brividi, ti apre e illumina il paesaggio indicato dal tema musicale, vuol dire che la scrittura è giusta, che si è capito benissimo cosa volesse dire il compositore e come valorizzarlo; quando l’equilibrio tra strumenti, timbriche, dinamiche, armonie, o anche semplicemente note e pause è rispettato, vuol dire che non si è andati per tentativi giocando con uno strumento musicale di utilizzo maldigerito o peggio con un computer: qualcuno ha semplicemente lavorato con cognizione di causa.

Il fraseggio negli assoli strumentali poi necessita di talento innanzitutto, integrato da studio, pratica, buoni ascolti, confronto; l’uso dell’armonia è un mix di scienza e gusto, i contrappunti farlocchi, le sostituzioni banali o pasticciate, gli intervalli usati male si imparano ad odiare solo se identificati con le regole, poi il buon gusto e l’orecchio aiutano a riconoscerli ed evitarli, idem riguardo alle linee melodiche banali.

Certo, sia per chi produce musica che per chi ne scrive è molto più semplice saltare con fastidio la teoria e la pratica dello strumento e della corretta armonizzazione, poi però il primo problema è non riuscire ad individuare e schifare le note malamente sistemate, come se non si riconoscesse un orribile vino del cartone, magari infilato in bottiglie ingannevoli.

Successivamente entra in scena il discorso più ampio, cioè che la brutta musica non si può giustificare con disquisizioni sui contenuti di rimbalzo, sulle altre valenze, sulle tendenze o sul sound più o meno attuale: tante parole, ma fortunatamente poi capita ogni tanto che lavori come questo asfaltino letteralmente chi si sente in grado di scrivere musica o di musica in virtù di passati da finto rapper o speaker radiofonico o da acquirente bulimico di LP.

Il compito di riproporre in modo significativo un brano arcibattutissimo come “Sapore di sale” sarebbe una trappola mortale per chiunque, ed in questo CD invece viene assolto in modo egregio, con interplay, dinamiche, fraseggio, balance, così come “Senza fine”, swingante jazz waltz dove è un piacere sentire l’anima di Tavolazzi nella cavata e nel legno del suo contrabbasso, in dialogo con Golino mirabilmente dinamico e musicale, e con Rita Marcotulli che esprime una padronanza ritmica ed armonica da manuale.

Più in generale, in “Appunti di un lungo viaggio” la nuova produzione viene presentata in modo anticonvenzionale ma molto elegante ed affascinante, da riascoltare e studiare più volte per quanto materiale musicale contiene, mentre i classici paoliani sono tutti eseguiti in un modo che dona loro una definitiva identità di grandi canzoni. Sono versioni memorabili e appare veramente difficile fare di meglio.

La maestria di Gino Paoli come compositore e cantante, e di Danilo Rea, della Roma Jazz Strings Orchestra e di Sirignano, di Rita Marcotulli, Ares Tavolazzi ed Alfredo Golino va capita per bene innanzitutto, e poi semplicemente ringraziata, perché abbiamo tutti diritto di poter ascoltare qualcosa di recente produzione che sia scritta ed eseguita in grazia dei santi, per una volta tanto senza dover sempre ricorrere al rifugio in qualche classicone datato e magari straniero.

gino paoli

APPUNTI DI UN LUNGO VIAGGIO – GINO PAOLI -TRACKLIST:

CD 1 – CANZONI INTERROTTE:

1. Estate, 
2. Inverno, 
3. Primavera, 
4. Autunno.

CD 2 – I RICORDI:

1. Che cosa c’è, 
2. Sassi, 
3. Il mare, il cielo, un uomo, 
4. Sapore di sale, 
5. Questione di sopravvivenza, 
6. La gatta, 
7. Ritornerai, 
8. Fingere di te, 
9. Senza fine, 
10. In un caffè, 
11. Una lunga storia d’amore, 
12. I ricordi, 
13. Il cielo in una stanza, 
14. Ti lascio una canzone.

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