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martedì, Maggio 14, 2024

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Renzo Rubino vs Diodato: i nuovi Minghi e Mango? – INTERVISTA DOPPIA

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Per il Festival di Sanremo 2018 Claudio Baglioni recupera i talenti tarantini di Fabio Fazio, mettendoli in sfida: Renzo Rubino canta “Custodire”, Antonio Diodato “Adesso”.

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Renzo Rubino e Antonio Diodato sono le prestigiose rivelazioni degli impopolari Festival di Fabio Fazio trasformatesi in Big nel Festival 2018 di Claudio Baglioni. Entrambi agli antipodi della sempre più forsennata mercificazione da talent, che diseduca l’ascoltatore passivo e falsifica la percezione della realtà musicale attuale, ben più rosea e in movimento di quanto in realtà non appaia. Ora si ritrovano a condividere lo stesso palco, quello del teatro Ariston di Sanremo, l’uno contro l’altro. Dopo il ‘no’ lungo tre anni di Carlo Conti, sono stati chiamati in sfida dal nuovo direttore artistico del Festival di Sanremo con delle canzoni sull’importanza del dialogo. Se Rubino in “Custodire”, brano dalla melodia vintage prodotto da Giuliano Sangiorgi, invoca il dialogo tra i suoi genitori separati, Diodato in “Adesso” incita, accompagnato dalla tromba di Roy Pacy, ad un dialogo interiore che concentri la nostra consapevolezza sul qui-e-ora. Nella serata del venerdì dedicata ai duetti Serena Rossi ha dato l’aiuto vocale a Rubino e Ghemon il supporto rappato a Diodato.

Renzo Rubino

INTERVISTA DOPPIA – Parte I

Quali sono gli artisti che più hanno influito sulla composizione delle tue canzoni?

Renzo: Quando arrangiamo o scrivo nuove canzoni provo a non ricevere influenze; anche se è molto difficile credo che si possa produrre ancora oggi qualcosa di estremamente nuovo, poi, i miei ascolti preferiti verranno sempre percepiti all’interno di una mia canzone … da Lucio Dalla a Renato Zero, ad alcuni riferimenti operistici.

Antonio: Da ragazzino ho ascoltato tantissimo rock e pop inglese: Verve, Radiohead, Beatles, Pink Folyd, Blur. Solo più in là ho riscoperto i grandi cantautori della musica italiana. Credo che nei miei dischi ci sia un po’ questo mix tra questi due mondi musicali.

«Nella mia categoria se non sei etichettato di sinistra lavori poco e il mio dichiararmi vicino al cattolicesimo mi è stato di ostacolo in un certo modo». È quanto ha dichiarato Amedeo Minghi, grande assente al Festival. La tua opinione a riguardo, il tuo credo politico e religioso e la canzone del Maestro che più ti piacerebbe rivisitare.

Renzo: Se devo essere sincero non conosco bene la discografia del Maestro, quindi non ti saprei dire quale canzone potrei interpretare. Rispetto alla sua opinione, secondo me, ognuno deve essere libero di esprimere quello che vuole e che sente, al meglio. Non è il credo religioso o l’appartenenza politica a inibire un percorso artistico. Se una canzone è bella può essere di sinistra, di destra, religiosa o altro. Funziona perché è bella, punto. Non credo che sia un freno, anzi è un freno dire che essere vicini al cattolicesimo possa essere controproducente. Se Marilyn Manson scrivesse una canzone melodica italiana potrebbe essere bella. Una canzone è bella a prescindere dalla persona che la scrive. Io morirò ma rimarranno le canzoni, spero, un giorno. Non è l’artista, sono le canzoni quelle che rimangono per fortuna. Rispetto al credo religioso e politico il mio lo cambio ogni giorno, quindi potrei dirti una cosa che magari domani potrebbe essere diversa.

Antonio: Bah, sinceramente non saprei. Non credo però lavori solo gente di sinistra. Il mio credo politico e religioso credo non interessi a nessuno. Un brano di Minghi? 1950.

Mango è stato un cantautore unico, diversamente pop ma amatissimo dal grande pubblico. Eppure, come ha scritto Enrico Ruggeri su Facebook, quando morì «belle frasi» arrivarono «da giornalisti che non andavano da anni a un suo concerto, da radio che non passavano le sue nuove canzoni e da discografici che non avevano più voglia di investire su di lui». Qual è la tua riflessione a riguardo e come lo ricordi tu personalmente.

Renzo: Io non scrissi nulla semplicemente per una questione di rispetto. Tra tutte le cose che ho letto, la riflessione di Enrico Ruggeri è proprio quella a cui sono più vicino. Perché noi siamo come al solito un paese di fanfaroni, saltiamo tutti sul carro dei vincitori. Mango è stato un gigante della musica italiana. Alcune volte ce lo siamo dimenticato, alcune volte i giornalisti ne hanno parlato, alcune volte non ne hanno parlato, alcune volte lo hanno criticato, alcune volte lo hanno esaltato. Siamo fatti così. Sembriamo quasi circensi. Sono d’accordo con Ruggeri: quanti giornalisti parlarono del suo ultimo disco “L’amore è invisibile”? Purtroppo ci stiamo appiattendo. Lui era veramente un artista, uno che si faceva i cazzi suoi, che veniva fuori con i suoi dischi, con le sue canzoni… non per i suoi scandali sulle pagine di copertina. Un artista con la ‘A’ maiuscola, che ti faceva vedere le cose da una prospettiva incredibilmente personale e unica.

Antonio: Non era un artista che ascoltavo e non ho i suoi dischi, ma negli anni mi è capitato di ascoltare diverse sue canzoni ed ho sempre pensato fosse molto particolare, con un’identità ben precisa, immediatamente riconoscibile, con una voce unica. Anche io sento oggi tanta gente parlare bene di lui, ho scoperto qualche suo fan ed ho visto i suoi dischi sparire dagli scaffali degli store a poche ore dalla scomparsa. La morte santifica, riavvicina, permette a chi resta di rivalutare, creare il mito. Ogni parola nelle sue canzoni oggi ha un peso diverso perché porta con sé un’ombra che prima non c’era.

Antonio Diodato: per la 2nda volta in gara al Festival di Sanremo

Hai mai pensato ad una carriera parallela come autore per altri interpreti? Qual è secondo te nella storia della musica il sodalizio artistico più riuscito e quali le cinque voci femminili italiane per cui ti piacerebbe scrivere. Un aggettivo per ciascuna.

Renzo: Non lo farei diventare mai mestiere ma ammetto che sarei curioso di sentire una mia canzone interpretata da una donna e visto che me ne chiedi cinque ti dico: Giorgia, Mina, Fiorella Mannoia, Simona Molinari, Noemi. Poi mi vengono in mente capolavori come “Sfiorisci bel Fiore” di Jannacci cantata da Mina, anche se non credo tanto nei duetti originali perché, se non si è completamente affini, si rischia di non essere sinceri al cento per cento e spesso sembrano operazioni commerciali. Ah! Paoli Vanoni! Fantastici, loro erano affini.

Antonio: Certo. Mi piace scrivere per altri. Il sodalizio artistico più riuscito è sicuramente Battisti/Mogol. Cinque voci femminili? Mina. Aggettivo? Mina.

Un film che più ti è piaciuto e un regista per cui reciteresti e scriveresti la colonna sonora.

Renzo: Beh, io non lo nego, continuo a dirlo: Paolo Sorrentino per me è uno dei più importanti registi italiani. Tra l’altro mi sono appassionato a lui prima come lettore, perché ho letto i suoi libri: “Tony Pagoda e i suoi amici”, storia romanzata, ma anche “Hanno tutti ragione”. Sorrentino è riuscito a esprimere al meglio lo status attuale di una persona, italiana soprattutto. Da adolescente guardavo “C’era una volta in America”, “Amarcord” … e la cosa che mi prendeva di più in erano le colonne sonore. “Caspita, un giorno vorrei scrivere una colonna sonora di un film”, mi sono detto. Non ti nascondo che mi piacerebbe scriverne una, magari per Sorrentino. Non saprei dirti esattamente quale film mi ha colpito più di altri, ce ne sono tanti. Però, senza citare i grandi film del passato, anche se “Amarcord” per esempio per me è un film straordinario, posso dirti che “Interstellar” è un film che consiglio: mi è piaciuto molto e mi ha colpito.


Renzo Rubino


Antonio: Il cinema è una grande passione. Mi piacerebbe lavorare con un regista italiano. Daniele Luchetti è uno dei miei preferiti e poter entrare a far parte della colonna sonora del suo ultimo film è stato un onore. Mi piace molto anche la naturalezza con cui dirige i suoi attori. I dialoghi non sono mai forzati e la recitazione scompare. Mi piacciono molto Paolo Virzì, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino. Tra i giovani direi Claudio Giovannesi. Il suo “Alì ha gli occhi azzurri” è uno dei film più belli che ho visto.

Una voce più dolce e timida quella di Diodato, più virile e spavalda quella di Rubino. Un Rubino oramai trentenne ha affinato un estro compositivo tendenzialmente classico, che trova l’ispirazione nella quotidianità vissuta. Le imprevedibili e brillanti commistioni tra jazz, opera, cantautorato e tradizione melodica italiana, sono la sua cifra, nonché il suo asso nel cilindro. Un’intimità sommessa ma dal piglio rock e british affiora invece dalle produzioni di un Diodato quasi quarantenne.

Con “Babilonia”, track di rara bellezza che gli è valso il repaking sanremese del suo album di debutto, ha incrociato nientemeno che l’apprezzamento di Mina. Sicuramente un boccone amaro da mandare giù per Renzo, a cui invece è toccato “consolarsi” con il gradimento di Francesco Guccini per “Ora”, brano sanremese made in Rubino. Ma a sorprendere non è tanto l’entusiasmo che i due giovani artisti suscitano tra musicisti e addetti ai lavori, quanto il fatto oramai inusuale che abbiano sfondato le porte dell’anonimato senza conformarsi ai cliché radiofonici e televisivi.

Renzo Rubino

INTERVISTA DOPPIA – Parte II

Il tuo precedente album sanremese: la persona che più ti ha ispirato, il brano a cui sei più affezionato e quello di cui vai più fiero.

Renzo: “Secondo Rubino” è un disco molto particolare per me, perché comunque racconta un po’ quello che ho vissuto. È un disco molto sentito. Ti dico che, considerato tutto, “Per sempre e poi basta” è una canzone che in assoluto rappresenta il disco e per me è importante per tanti motivi… Perché ricordo il momento esatto in cui l’ho scritta: erano un quarto alle tre di notte. E ricordo il momento esatto in cui l’ho eseguita al Festival di Sanremo. E finita la canzone ricordo cosa ha percepito il pubblico. So che quella canzone è arrivata tantissimo e per me è stata una cosa fortissima e irripetibile. Quindi per me è la canzone a cui sono forse più affezionato. Le persone che mi hanno ispirato sono io, è la mia vita. L’ispirazione la prendo da quello che vedo, dalle persone che mi stanno vicino, anche al supermercato. Dalla mia quotidianità prendo ispirazione. Un pezzo come “Colazione” parla di una storia d’amore tra due miei amici che vivono in Puglia e stanno insieme da tanti, tanti anni e si amano come il primo giorno; “Ora” racconta un periodo della mia vita un pochettino complicato, dove neanche io mi sapevo ritrovare. Sostanzialmente uno non può scrivere le canzoni se non le vive prima, altrimenti sono solo operazioni commerciali. In assoluto poi ci sono tante (altre) canzoni a cui sono affezionato: “L’altalena blu”, “Il Postino” stesso che mi ha portato un po’ alla ribalta, Lulù, Monotono… Per me le canzoni sono le pagine di Caro Diario: oggi ti racconto questa cosa, quello che mi è successo, e la racconto così. Il fatto di renderle uniche rispetto ad altre risiede nel quando le ho vissute… Quindi non posso darti una canzone in assoluto, tutte e quattro sono canzoni che mi piacciono e che ogni volta che canto le canto con gusto.

Antonio: Sono tante le persone che mi hanno ispirato perché “E forse sono pazzo” è un disco che racconta molto della mia vita passata. Una in particolare è stata la mia compagna di vita per molti anni ed è quindi molto presente in questo disco. Sono molto affezionato a “Gli Alberi” e vado molto fiero di molti brani. Se proprio devo scegliere direi “E forse sono pazzo”.

Il Festival di Sanremo 2014: l’emozione più intensa, un ricordo spiacevole e lo sbaglio più grande di Fabio Fazio?

Renzo: L’emozione più grande l’ho vissuta subito dopo aver cantato “Per sempre e poi basta”. Ho sentito un abbraccio fortissimo da parte del pubblico degli addetti ai lavori, del maestro Andrea Rodini, di tutti. Il momento più spiacevole aver saputo che quella canzone l’avrei cantata solo una volta durante l’arco del Festival. Non credo Fabio Fazio abbia fatto errori incredibili; penso solo che è sempre difficile ripetere un grande successo come quello vissuto l’anno precedente.

Antonio: Il momento prima di salire sul palco: Rufus Wainwright canta “Across the Universe” e noi dietro le quinte che ci abbracciamo e cantiamo con lui. Poi “Babilonia” ed un mare di emozioni e pensieri che ti travolgono. Non ho momenti spiacevoli; splendidamente tristi forse, come l’ora prima di andar via e gli abbracci silenziosi con chi aveva vissuto quella incredibile settimana con me. Non ci crederai ma non sono riuscito a vedere quel Festival. Quando ci vai non riesci a guardarlo quindi non saprei dirti quale sia stato lo sbaglio più grande di Fazio.

Renzo Rubino: per la 3rza volta in gara al Festival di Sanremo


Musica leggera in Italia: un patrimonio minacciato dal regresso culturale di adorniana memoria. Quali sono secondo te i nemici e quali gli amici.

Renzo: Il problema della musica italiana è che sta morendo. Io non so dirti se è un bene o un male, però posso dirti che da un punto di vista personale rappresenta un dispiacere. Perché noi siamo sempre stati famosi e riconosciuti in tutto il mondo per un modo stra-personale di raccontare le cose, per la melodia, quella che prima era opera, che poi è diventata musica leggera e poi si è trasformata in musica pop.

Oggi ci stiamo dimenticando delle canzoni. Dove sono? Adesso la melodia è stata soppressa. Per l’amor di Dio va benissimo il rap, l’hip hop, che tanti rapper facciano i numeri … Io tra l’altro stimo tanti di loro: uno come Caparezza ha fatto un disco incredibile, è un cantautore. La cosa che mi dispiace è che è un po’ scomparsa la melodia, un certo modo di scrivere e di affrontare le cose in italiano… Ed è dovuto al fatto che noi come sempre cerchiamo di scimmiottare quello che ci viene proposto dall’estero. È un peccato valorizzare sempre meno la nostra unicità.

Quando a Sanremo ho cantato “Il Postino”, tra i tanti cantanti che ho incontrato e che poi sono diventati amici ce n’erano due: Peter Cincotti e Jutty Ranx. Ascoltando Sanremo, le uniche canzoni che si ricordavano e che ogni volta che le ascoltavano andavano fuori di testa erano: “Il Postino”, ma mi tiro fuori, e quelle di Maria Nazionale. Impazzivano per Maria Nazionale! La napoletaneità è una cosa che abbiamo solo noi… il modo di raccontare le cose, la melodia così struggente. Si ricordavano dall’estero, in assoluto, solo Maria Nazionale, non Marco Mengoni, vincitore di quell’anno. La melodia si è un po’ schiacciata ed è un peccato. Secondo me bisognerebbe puntare di più su essa perché è la cosa che più ci rappresenta.

Antonio: Il nemico più grande è la pigrizia. È pensare che debbano arrivare i talent a dirci che musica e chi ascoltare. Sembra non esserci più curiosità. Gli amici sono i club, i festival, i luoghi occupati e i centri sociali che, nonostante le mille difficoltà, continuano a proporre musica di qualità, a fare cultura.

Tra i tanti casi eclatanti di omofobia l’indignazione nei confronti di Conchita Wurst, la cantante con la barba che ha vinto l’Eurovision Song Contest e che anche in questo Festival è stata derisa da Pierfrancesco Favino. E poi come non ricordare l’assalto politico ai professori del Liceo Giulio Cesare di Roma, rei di aver fatto leggere agli studenti il romanzo di Melania Mazzucco “Sei come sei”. Un commento ai singoli casi e una riflessione in generale.

Renzo: Per quanto riguarda Conchita ti posso dire che, tornando indietro nel tempo e immaginando tutto l’Eurovision Song Contest, lei era veramente diversa rispetto a tutti: musicalmente parlando era quella che spiccava di più. Quindi è inutile che ci becchiamo fesserie, vince la sua diversità musicale soprattutto. Non è perché ha la barba, non è perché ha i capelli lunghi; o meglio probabilmente è anche per quello, ma è attraverso la sua diversità e il suo essere unico che è riuscito ad emergere. Quindi perché criticare l’unicità della persona? Bisogna criticare secondo me l’esatto contrario: l’omologazione. Il fatto di parlare poi, basta! Hanno scocciato con queste storie. Siamo indietro anni luce certe volte, e quindi più se ne parla e peggio è… Perché si finisce col puntualizzare una cosa che non ha bisogno di essere puntualizzata.

Antonio: Non servono casi eclatanti per rendersi conto che in questo paese siamo un tantino indietro su certe questioni. Non ho letto il libro della Mazzucco ma il titolo mi piace. Credo che il problema sia molto più grande di quel che sembra. Credo che questo caso sia una dimostrazione abbastanza eclatante del distacco e della mancanza di dialogo che spesso c’è tra genitori e figli. Pensare che alcuni passaggi che riportano contenuti sessualmente espliciti possano “deviare” dei ragazzi di 14 anni è un po’ vivere fuori dal mondo. Piuttosto sarebbe bello parlarne con serenità e, probabilmente, era quello l’obiettivo degli insegnati. Conchita Wurst? Il pezzo non mi dispiaceva affatto. Non capisco cosa ci sia da indignarsi. Nella musica pop di questi ultimi mesi ho visto e ascoltato cose che al confronto scompaiono.

Renzo Rubino

 

 

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