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sabato, Maggio 18, 2024

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Giovanni Baglioni ritorna con “Vorrei Bastasse” – INTERVISTA

A oltre10 anni di distanza dal precedente “Anima Meccanica”, è uscito “Vorrei bastasse”, il nuovo disco di Giovanni Baglioni.
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Per niente facile (cit.) avere a che fare con Giovanni Baglioni, oltre la solita educatissima gentilezza che lui riserva a tutti: forte velocità di pensiero, battuta pronta supportata da un implacabile senso dell’ironico e da un’attenzione sempre molto viva su tutto.
Inoltre ha evidentemente dovuto sviluppare una notevole capacità di quantificare nell’essere umano la sincerità ed il vero spessore, rispetto ad un eventuale e purtroppo frequente untuoso doppio fine.

Il suo nuovo album è tecnicamente molto impegnativo, lascia intuire un impegno di studio di varie ore quotidiane, un po’ come per il repertorio della chitarra classica.

Pensa che ho cominciato abbastanza tardi a dedicarmi a questo genere, intorno ai vent’anni, dopo la scoperta di Tommy Emmanuel. Fino a questa folgorazione suonavo sì la chitarra acustica ma in maniera usuale, con una band di amici; da allora ho iniziato quindi uno studio metodico basato sull’ascolto analitico sia di Emmanuel che di tanti altri come Erik Mongrain, Preston Reed e soprattutto Michael Hedges”.

Il disco si apre con “Tea Lemon Mummy”: molto complesso, delizioso.

Una cellula melodica d’impianto che si dirama in tanti rivoli, ambientati in distinte tonalità e con distinte armonizzazioni, dissimili ma simili, come se si trattasse della stessa cosa percepita durante diversi stati d’animo. Vari echi compositivi, impossibile catalogarli tutti, ma oltre agli artisti già citati come punti di riferimento c’è comunque tanto pop d’autore e qualcosa di riferibile sia alla classica che al jazz.

Segue “Toro Seduto Ascendente Leone”, tecnicamente impegnativo ma comunque musicale e ascoltabilissimo.

Sovviene che questo disco porta con sé un problema, le cui possibili risoluzioni presentano però non ansie ma comunque spunti di gradevolezza: se ascoltare muniti di chitarra, matita e foglio pentagrammato onde decodificare più compiutamente, oppure ad esempio in macchina su qualche magica litoranea, al cospetto di un affascinante panorama.

Io ho sempre ascoltato la musica con una attenzione più che maniacale, sono assolutamente convinto che una composizione vada rispettata con precisione in tutti i suoi aspetti, che non sono solo quelli più immediati come melodia, armonia, suddivisioni e ritmiche ma anche per esempio i ‘sustain’ delle note, le legature o gli staccati, la esatta posizione dove suonare le stesse note e le esatte diteggiature, proprio come si fa normalmente per lo studio del repertorio classico. Ricordo una discussione sul web con un chitarrista, peraltro bravo, che pubblicò una sua esecuzione di un brano sulla quale io ebbi l’ardire di contestare alcune imprecisioni…

“Miraggio”, ovvero come coniugare dei percorsi melodici in modo sempre sorprendente, per via delle differenti risoluzioni che vengono via via applicate. Le funzioni tonali dei diversi accordi hanno un utilizzo semplicemente coerente ed efficace, collegato esteticamente ed armonicamente solo alla necessità musicale ed emotiva.

Finalmente, verrebbe da dire, laddove sovente questo non sia invece determinato dal dover risolvere esigenze contingenti, ovvero casualità compositive messe in atto con tentativi slegati da cui poi dover venire a capo, vicoli ciechi melodici ed armonici come purtroppo si ascolta troppo spesso.

In realtà proprio ‘Miraggio’ nasce da un’immagine dovuta al fenomeno della diffrazione, che nel deserto porta a vedere o più spesso illudersi di vedere un’oasi:

le note musicali come delle figure umane all’orizzonte, di aspetto quasi puntiforme, la luce che si riflette sul percorso.

Ogni immagine può essere riportata in musica, pensa alla scia luminosa, ad esempio di una stella cadente: l’accordatura delle corde centrali per gradi congiunti consente un fraseggio che produce timbricamente un effetto molto simile alla scia luminosa, che dovendo eseguire la scala con più note sulla stessa corda non sarebbe possibile”.

Il brano successivo è “Roots” e David Crosby sarebbe impazzito per una cosa del genere. Un riff sinuoso e danzante, in cui gli armonici, il tapping e la cassa percossa si dipanano via via verso un inaspettato sviluppo armonico, senza mai perdere di vista, ovvero di udito, la cantabilità.

In questo disco la chitarra acustica ha una sonorità ed una pronuncia che non possono prescindere dalla west coast, ma in cui sono evidentissime le radici provenienti dalla perfida albione o da sordidi balli irlandesi, consumatisi preferibilmente accanto ad un fuoco che illumina le ombre della notte e del bosco, riflettendosi sul vetro e sulla schiuma dei boccali di birra, e sull’argento delle barbe.

La dinamica scende, e con un sapiente uso delle pause e del rubato c’è tanto respiro in “Il Giro del Giorno in 80 Mondi”, titolo che omaggia uno storico LP di Enrico Rava.

La timbrica della chitarra è veramente magnifica.

Segue “SkArpeggio”, che parte con una dissonanza che piano piano si stempera, distendendosi su una sequenza di accordi semplici ma eseguiti in modo molto evocativo, fino ad arrivare a divertenti citazioni di celebri frasi musicali.

C’è qualcosa di psichedelico in “Il Rischio dell’Emozione”, la sinergia tra la timbrica di base, la pronuncia e gli effetti è ipnotica, per una melodia che si sviluppa in un raffinato percorso armonico punteggiato da un sapiente uso degli armonici.

Sono sempre stato attratto dalla compiutezza dei percorsi, il problema deve avere uno svolgimento ed una risoluzione certa, infatti ho fatto il liceo scientifico e ne sono uscito con il massimo dei voti, addirittura alla maturità ho finito prima alcuni esercizi di matematica e ne ho risolti almeno altri quattro o cinque che ho messo a disposizione dei compagni con la complicità dell’insegnante. Viceversa a scuola ero capace di lasciare il tema in bianco.

Ho sempre amato la discussione ma come approfondimento, la contrapposizione di curiosità inevase, l’incontro come scambio finalizzato se possibile ad un risultato esatto.

Forse ho una forte ‘vis polemica’, anzi sicuramente, ma in realtà è che non mi piace l’approssimazione: l’incontro è uno scambio, il correggere gli altri e sé stessi è un progresso, un percorso verso un approfondimento che avverto sempre come necessario in ogni cosa”.

Chiusura di questo notevole lavoro con un inaspettato pianoforte, che collabora con la chitarra all’esecuzione di “Emisferi”. Dopo una bella introduzione il brano percorre un morbido cammino su un contenuto musicale molto semplice che però ogni tanto sfodera sviluppi sorprendenti, fatti di cambiamenti ritmici, ostinati, cromatismi, sostituzioni armoniche, intrecci percussivi.

Il rapporto timbrico tra la chitarra acustica e il pianoforte ripaga della tanta discutibile fuffa sintetica sentita in questi ultimi anni.

Sono venuto ad abitare in questo quartiere per scelta, è centrale ma popolare… Qua dietro c’è un mercatino, approfitto per fare un giro, tu hai scuola di musica, ci rivediamo presto?”

Molto volentieri, è stato veramente un piacere, come sempre.

giovanni baglioni

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