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venerdì, Luglio 5, 2024

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L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

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Svegliarsi una mattina e scoprire che l’amico Ernesto Assante se ne è andato. Oggi piove e il cielo è grigio. Non poteva essere diversamente.

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Con la scomparsa (solo fisica) di Ernesto, scompare anche un pezzo della mia generazione, quella che ha sempre amato la musica vera, la musica con la M maiuscola. Ernesto aveva un entusiasmo contagioso, sempre disponibile a promuovere la musica di qualità.

Quando pubblicai il mio primo libro nel 2010, volli che fosse lui a intervistarmi alla presentazione a Roma. Pochi minuti prima dell’inizio, con la sala piena, mi telefonò avvisandomi che a causa del traffico impazzito era in forte ritardo. Gli risposi che senza di lui avrei annullato la presentazione. Non so come fece, ma riuscì ad arrivare dopo appena un quarto d’ora. Ernesto è sempre stato puntuale, pur vivendo in una città dove la tempistica è sempre molto relativa.

Ernesto ha scritto di tutto. Con il suo amico Gino Castaldo, ha fatto una coppia irresistibile su La Repubblica.

ernesto

Una sua recensione o articolo valeva oro, indipendentemente se il disco o il concerto gli fosse piaciuto o meno. Un uomo di stile, di stampo anglosassone, di quella scuola giornalistica ormai scomparsa.

Con Gino e Carlo Massarini hanno raccontato la storia della musica del Novecento, non solo italiana. Quando ha smesso di scrivere su La Repubblica, la pagina degli spettacoli e della musica ha perso inevitabilmente importanza.

L’importanza di chiamarsi Ernesto, come la commedia teatrale scritta da Oscar Wilde, nella quale il nome Earnest “procura delle vibrazioni e ha un suono che scalda il cuore a sentirlo”.

Lo ricordo nella sala stampa a Sanremo durante il festival. Sorrideva sempre, al punto che nonostante fosse costretto a scrivere le pagelle delle canzoni, in realtà, sembrava altrove, magari con la testa a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles.

Negli ultimi tempi lo ricordo nella sua tenace difesa a favore dei Maneskin, che troppi “babbioni” della nostra generazione, fustigavano con estrema superficialità. Perché Ernesto, amava anche la musica italiana, senza etichette, genere, nostalgie e prevenzioni. Non era certo uno che corteggiasse il mainstream per farsi un nome, il nome: Ernesto, l’aveva già.

Ora lo immagino tra le nuvole a sorridere a Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e magari anche a John Lennon e Frank Zappa. Troverà molti amici ad accoglierlo. La critica e il giornalismo musicale italiano perdono un asso, un esempio, un simbolo, ma anche semplicemente un uomo gentile, colto, appassionato, onesto.

Ciao Ernesto, ricorderemo tutti il tuo bellissimo sorriso, oltre alla tua penna che ha scritto pagine indimenticabili.

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