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lunedì, Luglio 1, 2024

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Sanremo come il Festivalbar: pensieri di un autore

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Sanremo non è più quello di una volta. Peccato, meno male. La musica italiana è cambiata. Peccato, meno male.

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Non so, ho avuto l’impressione di ascoltare sempre la stessa canzone ieri sera, una specie di concept album iperpop con qualche variazione sul tema principale per renderla più intrigante. Pochissime canzoni veramente brutte eppure quasi tutte mediocremente non belle. Boh, è un mistero che non riesco a risolvere e che mi fa oscillare tra la tentazione di sentirmi ancora più boomer del solito e la necessità di urlare fortissimo che il re è nudo.

Ma veniamo a noi: un Sanremo in versione radiofonica che somiglia sempre di più al Festivalbar, con canzoni in media non bruttissime, in scia l’una con l’altra, alla ricerca della hit che funzionerà. Ecco, il male di questi tempi è il “funzionamento“, che ha sostituito de botto l’emozione. Mi è mancata se non per la grazia ricevuta di Diodato, la canzone da spellarsi le mani. Canzoni che sarà divertente cantare e ballare in attesa dell’estate e che trovano, indubbiamente, in Annalisa (che copia senza ritegno da Kyle Minogue) e la bravissima Angelina Mango le loro protagoniste d’eccellenza. Ecco, mi fermo un attimo su “la noia”, che spiazza già nel titolo e porta una ventata di aria fresca con un pezzo ben scritto e ben cantato. Mi soffermo da autore perche trovo che il testo suoni da dio, con le parole che ballano e dai, alla fine, dicono e raccontano molto bene, particolarità non così scontata di questi tempi. Per cui, brava Madame, ci sa fare.

Non ho sentito particolari guizzi (termine tipicamente boomer, mio Dio!) o brividi lungo la schiena. Che vi devo dire, sarà l’età…

Tutto scorre, tutto si lascia ascoltare, con quella fastidiosa sensazione di già sentito che aiuta e accelera la piacevolezza, con qualche passaggio qua e là che fa intravedere un po’ di luce e che, per questo motivo, viene subito dopo affossato.

Sentiremo parlare molto di queste canzoni nei prossimi mesi. Molte finiranno in pasto alle radio che le tritureranno fino all’indigestione. Poi, spariranno, risucchiate dalle prossime new hit, che saranno simili a queste che erano già simili a quelle che le avevano precedute.

D’altronde, se a scrivere i pezzi sono sempre i soliti cinque o sei autori, che cosa ti puoi aspettare?

Chi l’avrebbe mai detto, mi sono trovato emozionato nel riascoltare Toto Cutugno e la sua “gli amori”, vera splendida outsider in quel plotone di soldatini ben educati. Quando poi la memoria mi è andata alla versione che ne fece Ray Charles, beh, non ho resistito alla lacrima. Troppa roba, troppa musica a cui non siamo più abituati.

Per me è un sì per tutti o quasi, Annalisa, Geolier, Ghali, Rose Villain, Emma, Alessandra, Mahmood che porta tre quattro canzoni in una, Dargen, Maninni in quota Tananai, Big Mama, tutti figli della stessa matrice, tutti capaci di ondeggiare nel mare del pop attuale, che ogni tanto emergono dalla media e subito dopo vengono ritravolti dalla stessa, in un continuo saliscendi che non permette loro di distinguersi. Mai.

Riassumendo: Fiorella e Loredana fuori quota, ingiudicabili per percorso artistico e qualità, che portano canzoni non eccelse ma che si inseriscono alla perfezione nel mondo che rappresentano.

Diodato, voce e anima, un po’ antico ma capace di stuzzicare le emozioni.

Angelina brava, molto brava, con una canzone scritta bene che non riesce a essere la mia scarpa, ma di cui non posso negare la consistenza e la qualità.

Il resto sta sulla superficie delle acque, ondeggia, si lascia ascoltare, spesso fa cantare, acchiappa da subito con ritornelli che funzionano benissimo, ma poi basta. Fine. Cinque giorni e Sanremo è già passato e noi pensiamo a altro.

 

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