Che a volte guardiamo in cielo le stelle indiavolate, la torre barbara del nostro cuore che sembra un alcool che brucia, le stanze della vita che hanno un ordine cubista. Che a volte capiamo che la nostra storia è così breve, che potrebbe essere infine solo una massa oscura.
E allora trattiamo con la nostra memoria, e vi aggiungiamo delle decorazioni di festa e mille treni pieni di gente, e mai nessuno che si sia disperso. E allora si scatenano musiche telluriche per farci saltare in piedi e farci stare rivoluzionari: così che anche i conigli troveranno i campanelli d’armi.
E pensiamo di poter essere dappertutto, freneticamente, con tutti i lumi che si accendono per potersi occupare di noi, metterci in un riposo soffice. Perché la vita è isterica, è una capitale marina coperta da onde feroci, da nostalgie quasi sempre dolorose. E così gli abbandoni diventano mistici che quasi ci si uccide.
E si fa l’appello, come in un testamento, delle felicità, prima di iniziare a esercitarsi nella preghiera. E si chiede anche una granata che cada dall’alto come fosse una salvazione.
Mimmo Locasciulli ha voluto ammonticchiare la nostra cenere, e nel suo lavoro umano sistemare le scintille d’alimento della vita, per celebrare una nostra nuova comparsa: vestiti di rosso o di un qualsiasi fiore aperto; come in una cartolina che sembra abbia la freschezza del mare.
Locasciulli ci ha voluto sbarrare la strada: con la bocca d’oro di Mattia Feliciani; con il fiato, che inseguiva il cuore, di Jorge Ro; ci ha messi sotto guardia da Filippo Schininà che aveva nelle bacchette delle frecce che bruciavano; ci ha lasciati come crocifissi nelle corde, in quei rametti per rondini, della chitarra di Massimo Fumanti; ci ha fatto vedere tutti i passi in salita, e la nostra sorte tenuta a braccetto nel contrabbasso di Marco Di Marzio; ci ha dato il tocco della danza, la calligrafia del sogno, le dita e le ali che rendevano tutto chiaro, di Giovanna Famulari.
Locasciulli cantava e si arrampicava come una formica fino alla nostra gola e ci strozzava, e provava una immensa pietà per la nostra svogliatezza. Voleva renderci felici e ancora più belli, capaci di rompere la linea del nostro destino.
Ieri sera, Locasciulli era una forma elettrica, un teppista. Un uomo dalla poesia poderosa.
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