Ci si lacera da soli.
Che poi così è anche facile arrivare alle fronde del dolore, rimanerne impigliati.
E qualche volta si tenta anche di aggrapparsi a un solo pizzico di gioia per evitare la fine, si prova a inginocchiarsi come si fosse davanti a un santuario.
Perché Diodato lo sa che l’amore è un rumore, un cavallo fatto di fuoco, e ha il gusto di un sorbo selvatico, e non sa fare finta che non abbia anche un cuore di ferro.
Se ancora tu ci fossi staremmo a contare i ricordi, a segnarli nei dorsi della luna, e io ti vedrei come una streghina, una di quelle che sa come apparire e scomparire. Ti vedrei dopo tutte quante le nostre sparatorie baciarmi, perché hai le mie anime, nella tua assenza baciarmi. Sembra volerle dire.
Diodato con “Ti muovi” abbassa i ferri dell’orgoglio e rimette in gioco l’amore con i suoi consumati mazzi di carte.
Lui alza gigli altissimi, affinché non si vedano né la forza né la debolezza del suo cuore.
Il suo è un sogno di rabbia e allora mette nel canto le porte più grandi, e ci mette le cupole armoniche e tutta la voce che ha nel cervello.
Diodato si abbottona fino alla gola, per impedire alle donne del fulmine di fargli del male.
E vorrebbe dire nascondetemi i fiori perché non hanno vita interminabile, io non voglio che nessuna dopo che è finita parli liberamente allegramente di me.
Diodato pensa che avrebbe voluto un bianco sul bianco e neanche un’ombra nel suo amore.
E cerca nel suo grembo, nell’oscuro, un movimento, e si crede capace di rimettere in moto l’arrugginito.
E sa che dovrà pagare, che verrà messo ancora una volta nel banco nei pegni, in quella parte costante che viene allestita dopo un abbandono.
E sa che non sarà l’ultima volta.
Stringimi la mano per sempre in questo luogo dell’addio, ci siamo assassinati ma viene adesso il nostro momento. Vorrebbe dirlo per evitare il destino.
Diodato ha una lotta incompiuta con l’amore ma non sa stare al riparo, si strazia ogni volta così tanto da non poterne più.
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