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giovedì, Dicembre 5, 2024

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Genova per noi – Analisi del testo

di  Alberto Salerno
Ricordiamoci sempre che questo è un gioco, che utilizzo per divertirmi a vivisezionare i testi che trovo più interessanti, funzionali o più semplicemente proprio belli.

Oggi ho preso a caso “Genova per noi” di Paolo Conte, un successo conclamato e conosciuto da tutti. Per comprendere meglio cosa ha ispirato Paolo Conte nello scrivere questo capolavoro, credo sia essenziale partire da dove è nato e vive, ovvero ad Asti, nella provincia piemontese, la campagna, il buon vino, la buona tavola e naturalmente i tartufi. Solo così si può comprendere quale diabolica e magica attrattiva abbia una città come Genova per l’autore. Ma andiamo ora a cercare di analizzare il testo, seguendolo passo passo: “Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Genova, e ogni volta ci chiediamo se quel posto dove andiamo non c’inghiotte e non torniamo più”. Già queste prime righe colpiscono come un pugno nello stomaco, si avverte il timore ancora prima di mettersi in macchina, come se ci fosse una sorta di consapevolezza che Genova possa essere una pianta carnivora e impedisca ai nostri viaggiatori di ritornare sani e salvi al paese natio.

“Eppur parenti siamo un po’ di quella gente che c’è là che come noi è forse un po’ selvatica, ma la paura che ci fa quel mare scuro che si muove anche di notte non sta fermo mai”. Fantastico questo proseguimento! Intanto ci vedo il tentativo tenerissimo di cercare di somigliare ai genovesi, che per degli albesi è cosa quasi impossibile, e solo perché sono anche loro un po’ selvatici, ma la forza arriva dopo, quando cita quel mare che si muove persino di notte, e già, perché di notte si dorme, e anche il mare dovrebbe farlo!
“Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna, e abbiamo il sole in piazza rare volte il resto è pioggia che ci bagna, Genova dicevo è un’idea come un’altra…”
Ecco che qui Paolo Conte piazza il titolo, nel modo migliore, sintetizzando il senso di tutto il testo, ribadendo il concetto della differenza fra Asti e Genova, ma in un modo spettacolare con una splendida fotografia.
“…mentre guardiamo Genova, come ogni volta l’annusiamo e circospetti ci muoviamo un po’ randagi ci sentiamo noi…” Mamma mia! Ma che bel momento questo! Annusano circospetti la città, proprio come dei cani in un luogo a loro sconosciuto, aleggia sempre questa paura della perdizione, del non ritorno.
“Macaia scimmia di luce e di follia, foschia, pesci, africa, sonno, nausea, fantasia, e intanto nell’ombra dei loro armadi tengono lini e vecchie lavande lasciaci tornare ai nostri temporali, Genova ha i giorni tutti uguali…”
Qui siamo al top, qui Conte si dimostra davvero autore eccelso, passando da una sequenza fantasmagorica di aggettivi con i quali immagina Genova, per chiudere con una fotografia da film degli anni cinquanta, quei vecchi armadi in cui si tengono le lenzuola e la biancheria di famiglia, profumati da lavande. Ma non basta, perché il nostro quasi implora… lasciaci tornare ai nostri temporali… e così torna di nuovo il timore del non ritorno… questo è un concetto che, come avete sicuramente notato, ribadisce di continuo.
“In un’immobile campagna con la pioggia che ci bagna e i gamberoni rossi sono un sogno e il sole è un lampo giallo al parabris…”
Bè, che altro aggiungere? Finale da paura… la campagna, di nuovo il sole e la pioggia, e la tavolozza si colora con i gamberoni, e quel “Parabrezza” cioè il “Parabris…”. Insomma, ragazzi, ecco un testo “capolavoro” che io, molto umilmente, ho cercato di analizzare e capire come Conte lo abbia inteso. Ovviamente è la mia visione, voi potreste averne una completamente diversa, alla prossima!

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