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venerdì, Luglio 26, 2024

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Corrado Coccia, un sognatore in “Chiaroscuro” – INTERVISTA

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 Corrado Coccia e la sua poesia musicale con l’album “Chiaroscuro”, prodotto da Pachamama di Roberto Arzuffi.

“Ho sempre pensato che i dischi siano un po’ come vestiti. Ci sono vestiti caldi per ripararsi dal freddo dell’inverno, e vestiti leggeri per avvertire meno caldo quando il clima si fa torrido. E così ci sono dischi invernali, e dischi per l’estate. Nel mio caso, ho pensato ad un disco invernale. Un disco di chiaroscuri, un disco riflessivo, un disco da camino mentre si sorseggia un buon whisky americano e fuori nevica”. 

Questo è l’incipit di un comunicato che mi ha incuriosito. Non conoscevo Corrado Coccia ed è stato fulminante incontrare la sua poesia musicale e il suo modo di proporla; anche le parole hanno uno suono, come Coccia suggerisce, e i suoi racconti riportano ad uno spleen che non può lasciare indifferenti.

Ascoltare la sua musica mi ha spinto a saperne di più e gli ho rivolto qualche domanda.

Ma chi è Corrado Coccia? Solo qualche indizio…

“Milanese, nato nel maggio del 1971, ama definirsi ‘un cantautore surreale’; ama i bambini, i maghi e le fate! Tra la sua musica preferita: i cantautori italiani (ma non tutti…), la musica classica e Kurt Weill…”.

corrado coccia

 

L’INTERVISTA A CORRADO COCCIA

Introduzione d’obbligo… chi è Corado Coccia? Riesci a sintetizzare il tuo percorso artistico, dall’inizio della tua passione per la musica sino ad oggi?

Corrado Coccia è un sognatore fondamentalmente. Cerco continuamente la fuga dalla realtà, perché questa sovente è dura da digerire. Sono un allegro malinconico, e la malinconia che porto dentro di me (che non è certamente paragonabile alla tristezza), è spesso un modo per trovare stimoli, sia creativi che scritturali. Il mio percorso creativo ebbe inizio in tenera età quando mamma e papà frequentavano un cantautore dialettale milanese di nome Nino Rossi. Quando conobbi Nino, mi trasmise la passione per il canto, e soprattutto per la scrittura. Il mio percorso artistico penso sia paragonabile a quello di tanti altri colleghi illustri, o meno illustri. I soliti concorsi, le solite scottature (la maggior parte), e qualche soddisfazione.

Il mondo cantautorale italiano è carico di esempi di spessore: esiste un tuo riferimento preciso, qualcuno che ti ha influenzato più di altri nel tuo percorso formativo?

Ovviamente ho ascoltato tanta musica prima di cimentarmi con la mia. Potrei citare molti artisti che amai e che amo, ma penso di non essere stato influenzato da nessuno. Chi mi ascolta, trova un pò Baglioni, un pò Capossela, e un pò Samuele Bersani. Quindi tre generi completamente diversi. Se ciò è accaduto, sta a significare che ho trovato talmente bene la mia strada (ironico), che ho messo tutti nei casini!

Sei arrivato al tue terzo album, “Chiaroscuro”: esiste un legame, una prosecuzione che lega “Il circo di Mastrillo”, tua prima esperienza discografica, al lavoro attuale?

Penso di no. “Il circo di Mastrillo” voleva raccontar,e attraverso una manciata di canzoni, quella che è stata l’esperienza che più mi ha segnato, SIA come artista (anche se la parola artista non mi appartiene ), SIA come uomo. Conobbi infatti alcuni anni fa una famiglia circense di nome Sterza. Imparai da loro cosa significhi SUL SERIO la fatica di calcare un palcoscenico (nel loro caso una pista), cosa significhi rinunciare a molte comodità nel caso in cui si fosse attraversato un periodo di “magra“. Con loro instaurai un legame talmente forte che per più di una occasione sono stato molto vicino alla decisione di mollare tutto e tutti ed abitare sotto un tendone insieme a loro. Questo disco, vuole “forzatamente“ decretare la mia maturazione, e quindi metto in campo le problematiche relative ai sentimenti. Non sono colui il quale si avvicina ad argomenti spinosi del quotidiano o politico. Penso che per questi grattacapi, vi siano altre figure professionali più informate di un cantautore.

Ho letto una tua definizione di “Chiaroscuro”, considerato un “disco invernale”: puoi entrare meglio nei particolari del concetto?

Lo reputo essere un disco per una collezione “Autunno / Inverno“ per le sue suggestioni musicali. Io, insieme alla mia squadra di lavoro capitana dal mio produttore/arrangiatore Roberto Arzuffi (Pachamama Label), abbiamo cercato sonorità che potessero essere degne d’essere ascoltate dinnanzi ad un camino scoppiettante e magari del buon brandy. Amo la stagione invernale e i suoi derivati. Amo la neve, il Natale, e le vetrine colorate. Ecco perché cercare di riversare questi miei amori in una raccolta di canzoni. Forse per farmi conoscere meglio.

Mi racconti il cuore dell’album, tra liriche e indirizzo musicale?

Penso d’aver scritto un disco d’amore. L’amore ovviamente non è solo riferito ad una lei… Esiste l’amore per la vita, l’amore per un’animale, l’amore per un bambino… Persino l’amore per le sconfitte e le delusioni. Bisogna sempre ringraziare anche le disgrazie, perché queste ti fanno crescere. Un vero e proprio indirizzo musicale non c’è in realtà. Quando buttai giù le prime stesure musicali e scritturali, pensai a me e a quello che volevo dire senza curarmi di essere messo da qualche parte o schieramento. Quello che posso dire, è che ho cercato sonorità davvero introspettive. Pianoforti con bassi enfatizzati in fase di mixaggio, batterie con le pelli dei tamburi smollate per dare un senso di profondità senza utilizzare i computer. Un disco fatto con le mani, un disco dove la tecnologia ce la siamo scordata per diversi mesi.

A giudicare dai due video che ho visto direi che la Francia è nei tuoi pensieri… che cosa ti lega a quella nazione?

Forse è una nazione dove la figura del cantautore (chansonnier) è ancora vista come una figura rispettata. Di questo mi sono innamorato. Del loro atteggiamento rivolto a coloro i quali hanno il bisogno di esprimersi attraverso la canzone. Ebbi anni fa il privilegio di suonare proprio a Parigi, e pur cantando in Italiano, trovai bellissimo e suggestivo essere ascoltato con l’attenzione giusta. Spesso in Italia sei una radio… Che tu possa suonare bene o male, non è molto importante… tanto nessuno ti ascolta (mi riferisco ovviamente ai locali). Non ci sono altri motivi che possano spiegare questo mio coinvolgimento rivolto alla Francia. Forse la bellezza delle donne, forse quella strana aria che si respira. Tutto fa rima con poesia, adoro i pittori per strada, amo mangiare le loro “schifezze“ che chiamano “nouvelle cuisine“, o magari amo assaggiare i loro vini, e continuare a scegliere i nostri.

Che cosa accade nei live di Corrado Coccia?

Quando si può suonare (perché ovviamente non è scontato che questo accada per i motivi qui sopra), succede qualche cosa di davvero semplice da spiegare. “Apparecchiare “il mio spazio scenico è semplicissimo. Un pianoforte, un microfono, e magari qualche intervento poetico di poeti o poetesse che abitualmente frequento. Succede raramente che possa portare con me i musicisti. Questi ultimi (vivendo di questo), giustamente pretendono una paga che gli addetti ai lavori non elargiscono. Quindi sovente (per non dire sempre), suono con Corrado, con Coccia, e con me medesimo. A volte però l’effetto “solitudine“ è bellissimo. Si catalizza l’attenzione maggiormente… D’altronde per fare questo mestiere bisogna essere un poco “prime donne” …

Come è cambiato secondo il tuo modo di vedere il ruolo del cantautore, dai seventies ad oggi?

Penso che non sia mai cambiato infondo. Le intenzioni sono sempre le medesime. Quello che cambia è il pubblico. Ho la netta impressione che si abbia molta meno voglia di soffermarsi sul particolare, sull’assonanza, su come suona una parola (perché anche le parole suonano)… C’è voglia di immediatezza. Come diceva un proverbio della nonna: “la gatta ansiosa e frettolosa, fa gattini cechi “. Ecco quindi non soffermarsi più sulla parola! L’effetto! Questo è l’importante! fare effetto! Bisogna essere come i telefonini… Chi ha più pixel vende di più… Fa niente se quello che ne ha meno riceve meglio… non è alla moda.

Più in generale, come giudichi lo stato di salute della musica italiana?

In stato comatoso. Ahimè i talent hanno dato il colpo di grazia alla creatività. Non è più necessario saper scrivere e suonare, ma è necessario entrare nelle simpatie di Santa Maria De Filippi o qualche altro giudice non così informato in materia musicale. La vedo davvero dura! Tant’è che (a costo di andare controcorrente), farò sempre ciò che amo, e non ciò amano gli altri. E’ vero, la musica è di tutti e non solo di chi la scrive, però bisogna che vi sia di base una onesta intellettuale altrimenti non ha più proprio senso fare questo mestiere.

Hai previsto momenti di pubblicizzazione di “Chiaroscuro”… un tour o presentazioni specifiche?

Se vi saranno occasioni avrò moltissimo piacere raccontare di me e delle mie esperienze di vita attraverso i miei componimenti. Non vi fosse l’occasione? Beh… è stato bello.

 corrado coccia

 

 

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