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giovedì, Marzo 23, 2023

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LA DITTATURA DELLE HIT

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Uno dei momenti che mi piace di più nei concerti di Bob Dylan è quando arrivano i bis a fine concerto, quelli delle sue hit. Immancabilmente è costretto a eseguire “Blowin in the wind” e lui cosa fa? Lo rende irriconoscibile. 

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L’ho sentito in versione reggae e rock n’ roll, mai come nella versione originale. Probabilmente si è talmente rotto dal farlo, che per accontentare i suoi fan lo stravolge, a volte persino nel testo, aggiungendo parole o togliendole. Le hit sono sacre, ma spesso più per i fan che per gli artisti, anzi a volte per questi ultimi, le hit rappresentano una sorta di maledizione. A nessuno piace essere ricordato per un paio di brani, vorrebbe che fossero almeno dieci o venti come per i Beatles.

Nell’ultimo Festival di Sanremo abbiamo assistito a una celebrazione di hit storiche. Conoscendolo sono certo che Gino Paoli avrebbe preferito cantare altro, piuttosto che “Sapore di sale” o “Il cielo in una stanza”. Paoli è tutt’altro che tradizionale, non canta mai i suoi brani allo stesso modo. Lo stesso dicasi per Ornella Vanoni, che a sua detta ricorda l’album “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria” il migliore in assoluto. Credo che “L’appuntamento” le esca ormai dalle orecchie.

ANSA/ETTORE FERRARI

Gianni Morandi, che è sicuramente più accondiscendente, si mette subito a diposizione della memoria nazional popolare, quindi ecco che non si fa pregare per cantare ”Fatti mandare dalla mamma….” che in un mondo dove le ragazze escono seminude per andare in discoteca e tornare alle 4 del mattino, fa sinceramente un po’ ridere.

Quella delle hit è una sorta di passaggio obbligato. Fa tanto “Domenica In” e quasi sempre diventa un obbligo, perché più gente si accontenta, meglio è. Ma la domanda è: “Se sto brano l’hai sentito migliaia di volte, fa ancora spettacolo? Se conosci un film a memoria, sequenza dopo sequenza, battuta dopo battuta, lo vai a vedere ancora al cinema?” Io credo di no. Magari hai voglia di vedere qualcosa di nuovo o che non hai visto. La stessa cosa dovrebbe valere anche per le canzoni, invece no.

Fu così che Enzo Jannacci mollò una prima serata su Rai Uno perché i funzionari televisivi volevano che lui cantasse “ Vengo anch’io no tu no” che a Enzo peraltro piaceva di meno rispetto a tante altre sue canzoni. Quelli insistettero e lui alzò i tacchi. Magari accadesse oggi. Invece non accade.

Tutti a muovere la testa su e giù come gli orsacchiotti a molla. Il paradosso è che le hit possono persino diventare contemporanee dato che viviamo nell’epoca delle tribute band e dei programmi con i sosia alla Tale e Quale. Replicanti che replicano le repliche. Così l’orologio si ferma. A forza di andare indietro le lancette si rompono e si fermano. Il tempo non passa più, l’importante è l’effetto karaoke. Tutti devono cantare in coro e più il brano è famoso, più si risparmia tempo e denaro per non scrivere il testo sui monitor. E guai a cambiare l’arrangiamento, altrimenti il pubblico va fuori tempo.

E’ la dittatura delle hit che non risparmia nemmeno gli stranieri, tant’è che anche i Depeche Mode a Sanremo devono eseguire “Personal Jesus” che infatti suonano da svogliati perché ormai gli esce dagli occhi, e il risultato è tutto, tranne che emozionante. Come si batte sta’ dittatura? Sta solo agli artisti, se aspettiamo che lo facciano i direttori artistici e i funzionari tv tanto vale farsi ibernare, magari con un 45 giri in tasca.

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