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La bruttezza dei Video Italiani non è solo una questione economica, ma anche di mancanza di idee artistiche

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di Roberto Manfredi

Sono passati molti anni, dal 1996, quando Vasco Rossi chiamò Roman Polanski per dirigere il videoclip : “Gli Angeli”, canzone dedicata al suo amico e manager Maurizio Lolli, morto di cancro.

Il video, girato con la collaborazione di Stefano Salvati, risulta il più costoso nella storia della discografia italiana. Nel video Vasco fluttua nello spazio fino a incontrare una donna, completamente nuda, che raffigura una sorta di angelo che lo rinvia sulla Terra.

Polanski raccontò che la telefonata di Vasco gli parve uno scherzo e che ci volle un po’ per convincersi che era in effetti una proposta seria.

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Immagine tratta dal backstage del videoclip ANGELI di Vasco Rossi , regia Roman Polanski

Nel ’96, nonostante la crisi discografica che era già iniziata nei primi anni ottanta, Vasco poteva ancora permettersi il lusso di utilizzare un budget con cui oggi si potrebbe produrre un intero film.

Da allora la storia dei videoclip italiani si è fermata, con qualche rara eccezione che però conferma la sua fine. Le ragioni possono essere di varia natura, principalmente quella economica, dato che la discografia non investe più sul prodotto video, ma in realtà la ragione è essenzialmente artistica.

Il videoclip musicale, storicamente, è una rappresentazione visiva e immaginaria di una canzone, di un racconto, di una piccola storia di tre o quattro minuti. Il soggetto e la sceneggiatura erano e restano fondamentali per decretarne il successo. Purtroppo da anni, si pensa che la clip sia il sostituto di uno spot pubblicitario a low budget. Così abbondano videoclip inutili, noiosi e insensati… in una parola: brutti, come la fame.

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Crediti Immagine: accademiadelcinema.it

Si ritraggono i cantanti come prodotti da consumare, come saponette, deodoranti o hamburger. Abbondano i primi piani dei cantanti, che si muovono in location scelte a caso, senza alcun nesso con il testo della canzone. Potremmo citarne decine, ma non serve perché lo standard è questo e lo si applica sia agli artisti poveri che alle pop star.

Ogni mattina, dopo aver accompagnato mio figlio a scuola, che come tutti i bambini si sta facendo una cultura cinematografica con gli effetti speciali di Marvel e Disney, mi bevo un caffè in un bar che ha uno schermo sempre sintonizzato sui canali tematici musicali, quelli con le clip a rotazione. Chissà perché quando passano video italiani, il mio caffè risulta acqua sporca. Sarà un mio problema evidentemente, ma è indubbio che quasi mai noto l’esistenza di un’idea centrale, di un linguaggio registico, di un ritmo narrativo. Non è quindi un solo problema di soldi, ma di contenuto.

Oggi, con le tecnologie accessibili, puoi fare un bellissimo videoclip con uno smartphone in 4 k o affittando un drone con duecento euro. Per l’edit basta un normalissimo Mac con il final cut.

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E se proprio uno ha pochi soldi, basta comprare delle immagini nelle tante videolibrary internazionali. Si trova di tutto, dalle sequenze aeree a time laps di città, paesaggi, grafiche ed effetti speciali compresi. Una sequenza di 20, 30 secondi costa in media dagli 10 ai 20 dollari. Li puoi comprare con la carta di credito o una comune post pay o una carta prepagata e il download in Full HD o 4 K è immediato. Certo non hai diritti in esclusiva e le stesse immagini probabilmente li sta utilizzando qualcun altro nel mondo, ma è irrilevante nel consumo dei videoclip.

Negli anni ottanta, tanti registi italiani hanno saccheggiato le immagini del film Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio nei loro videoclip. Ne ricordo uno persino di Biagio Antonacci. Figuriamoci ora dove possiamo accedere ad archivi sterminati.

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Immagine tratta da Koyaanisqatsi

Il problema da risolvere resta quindi quello autoriale. Perché un videoclip raggiunga il suo scopo è necessario saper scrivere e raccontare una storia. Il bel faccino della cantante di turno che canta in playback non basta più, anzi è persino controproducente nell’era dei Social. Non è arte. E’ poco più di un selfie animato e non determina nessun appeal, nessuna attenzione, nessun interesse.

Il fatto che poi, molti di questi brutti clip sono di giovani artisti usciti dai talent show costruiti con imponenti scenografie, luci ed effetti scenici costosissimi, ballerini, costumi e direttori artistici a seguito, è ancor più imbarazzante. Si spengono gli effetti speciali del talent show e questi tornano a casa e si fanno fare un videoclip da uno stagista, nella loro cameretta o ai giardinetti sotto casa.
Ragazzi… se di talento ne avete, non sprecatelo per simili brutture.

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Gli Angeli – Vasco Rossi – Videoclip diretto da Roman Polanski

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