Quando Ennio Morricone decise di dare l’anima dei cori alle canzoni di Zenobi, io credo che anche l’Universo si sia messo immobile: per ascoltare quei baci lenti che l’arrangiamento dava alle canzoni.
Morricone non avrebbe potuto fare diversamente, quei brani erano limpidissimi, riconoscibili nei battiti e nei palpiti. Facevano parte di un disegno capace di misurare la pienezza dell’amore.
Davvero, sì, Renzo Zenobi è il principe azzurro dei sentimenti, quello che dentro al tuo cuore apre un grembo, per poi farti coltivare i fiori. Proprio per questo ci voleva il Maestro dell’altro suono, il Genio dell’altezza musicale, l’unico in grado di aprire lo spiazzo per rendere eterne quelle canzoni.
Una a una sono un sogno, e in ogni accordo c’è un sapore dolce: le note distillano a volte la malinconia a volte la gioia. Hanno una rara luce spirituale, per come è giusto si intenda ogni elevazione. In quei testi neanche un inciampo nell’abitudine; nulla che possa ingombrare la dolcezza del cuore e delle mani e delle bocche.
Zenobi ha saputo levare l’occhio sporco all’amore, ha reso visibile la chimera e quel piacere inesauribile nel sentirsi amati.
Bandierine è stato un manifesto, un inno che ancora canta. Io l’ho vissuto come una spaccatura nell’intimo umano; finalmente una preghiera più forte.
Zenobi era in cima e chiamava fuori dal rifugio le emozioni, apriva le stanze della bellezza: aveva chiaro l’intento di proporci una sorgente diversa per la nostra vita.
Occorre dirlo che, quasi quarant’anni fa, non sentivo l’insidia dell’egoismo, avevo speranza nell’amore e nella comunione.
Noi tutti, avevamo giardini di sole nella mente.
Quasi quarant’anni fa Bandierine era una lacca di festa, un gran pavese volutamente intimista.
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