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sabato, Luglio 27, 2024

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Quanta strada da fare

di Michele Monina

Nel corso degli anni mi sono a fatica ritagliato il ruolo di quello che non fa sconti. In un mondo di gente che sorride e da pacche sulle spalle, io sono sempre stato quello che entra a gamba tesa, ferma l’attaccante e spazza la palla in fallo laterale.

Chiaramente questo mi è costato molto. In termini di amicizie, perché di solito non faccio sconti neanche agli amici. Di carriera, perché chiaramente ho sempre dovuto lavorare faticando, perché è più facile e comodo essere accomodanti (lo dice la parola stessa) che essere integerrimi. Di vacanze, e qui non credo sia necessario spiegare troppo. Se vado in piscina, per capirsi, lo faccio a mie spese.

Ma non sto scrivendo questi per piangere, figuriamoci. La strada che sto percorrendo me la sono scelta, a fatica, e non la mollerei certo per fare il quarto in un selfie. Scrivo questo perché, a più riprese, mi è stata mossa un’accusa, una delle tante, che mi ha particolarmente colpito. Questa: sei severissimo coi grandi, poi ti perdi in entusiasmanti disamine su artisti sconosciuto e su opere spesso destinate all’oblio, usando anche parole troppo eclatanti.

Ora, a parte che la parola disamina, ovviamente, non viene usata da chi mi muove queste critiche, io ho sempre cercato di adeguare il mio linguaggio all’oggetto del mio parlare.
Se scrivo di artisti pop, per capirsi, non uso parole come disamina. Se affronto artisti con le spalle larghe (loro o chi per loro), mi permetto giudizi anche duri, perché so che li possono reggere. Non mi permetterei mai di stroncare violentemente un esordiente che si è autoprodotto un album, piuttosto non ne parlo, e morta lì. Far valere la forza delle parole con chi non può reggere il confronto mi è sempre parso un atteggiamento poco corretto.

Facile, lo so, che le parole spese per smontare l’album di un artista internazionale non trovino confronto con quelle, entusiastiche, che spendo per presentare l’opera prima di una cantautrice (altra critica che mi muovono spesso, è quella di occuparmi prevalentemente di cantautrici, ma questa non merita risposta), ma credo sia necessario tenere la luce accesa più a lungo lì dove c’è buio, che stare a fare i complimenti a chi, anche senza i miei applausi, ha già una carriera ben avviata.

Quindi, per intendersi, lo so che se parlo di capolavoro parlando di un lavoro fatto non dico in casa ma quasi, magari posso sembrare eccessivo, ma le parole vanno contestualizzate di volta in volta, e quanto detto sopra spiega a sufficienza quel che c’è da spiegare.

Tutto questo per dire che, in genere, sono più generoso coi piccoli, e avaro coi grandi, come una sorta di Robin Hood, ma quando dico che Jessica Lorusso è un talento che merita di essere seguito, coltivato e cresciuto, dico il vero. Per questo, con Alex Procacci, si sta ragionando sul come e sul quando, mentre lei, Jessica, che è una ragazza pratica, e che vuole coltivare il suo talento, sta per esordire con il musical Sister Act, a Senigallia, il 5 dicembre, per poi intraprendere la strada verso Roma, il tutto per la regia di Saverio Marconi, non esattamente uno di passaggio.

Voi continuate a fare il tifo per lei, con me, e a seguire le sue mosse. Se nel mentre parlo d’altro è perché se si vuole camminare senza correre rischio di perdersi bisogna prendersi i propri tempi, fare le mosse giuste, senza fretta.

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