Cosa gli vuoi dire a Sanremo, sempre diverso e sempre uguale, anno dopo anno, da quasi un secolo? Che gli vuoi dire agli artisti, buttati in un tritacarne dal quale usciranno più grandi o più sconosciuti? E cosa vuoi dire alle canzoni, che diventano sempre più evanescenti ma che poi, ascolto dopo ascolto, crescono e crescono e crescono, fino a diventare abbastanza mature da venire dimenticate?
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I tempi sono quelli che sono, però, Dio mi perdoni per quello che sto per scrivere, noto una voglia maggiore di scardinare qualche pregiudizio, di scombinare le carte, di spostare qualche casella nel tabellone delle consuetudini.
E allora, perdoniamo Madame per quell’inizio martellante fatto di tanto tanto tanto tanto tanto che a me avrebbe portato a un ricorso immediato all’anonima alcolisti ma che a lei, evidentemente, funziona.
E perdoniamo pure Elodie che canta sempre la solita canzone ma la canta bene.
E i giovani, tutti, che portano la loro realtà fatta di depressione borderline e voglia di emozioni forti che si infrangono nella gnagnera del loro modo di cantare che fa tanto generazione Z contro il resto del mondo.
Perdoniamo e applaudiamo gli autori, spesso i soliti, che cercano soluzioni scontate e insolite nello stesso tempo, per colpirci l’attenzione e lasciare agli slogan le migliori intenzioni.
Perdoniamo Grignani che non riesce a cantare come saprebbe, ma scrive ancora bene e con sincerità.
Ma soprattutto, applaudiamo chi, volente o nolente, ci intrattiene per quasi una settimana, distraendoci dai problemi quotidiani, dalle tragedie e dalle serie TV, per immergerci in un rito che da settantacinque anni ha funzione di sabba, una catarsi divisiva e unificante, che ci accoglie tutti.
Nota a margine per Giorgia, che porta una brutta ma bella canzone, per Mengoni che porta una bella ma brutta canzone, per Ultimo che ha fatto di meglio ma anche di peggio, per i Cugini di Campagna che, mannaggia all’occhio lungo degli addetti ai lavori che nelle pagelle dei preascolti gli affibbiavano due e invece hanno in mano forse il pezzo più bello della loro carriera, e soprattutto per i due piccoli siciliani barbuti che si smarcano con stile, dimostrando un bel gioco d’altri tempi, pur non puntando a essere capolista.
Detto questo, buon Sanremo e che vinca il migliore
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