Come se i topi potessero imparare a memoria la mappa di una Napoli bombardata, e non trovassero da nessuna parte la loro via di salvezza, perché lo scampo è a ventimila metri di quota. E allora, come gli capitassero delle rondini, volessero copiarne la distanza.
A Napoli non c’è una prossima fermata, e così lontana si muove la luna e per quanto vada calmo il domani. I vicoli della Città hanno sempre la legna pronta per accendere fuochi: ognuno scioglie i nastri per celebrare la vittoria.
Pietra è una donna nuda, e non sa che farsene dei nostri nomi, delle nostre voci che hanno richieste ansiose come dovessimo raccogliere le rose della nostra vita.
Pietra non sa sognare il riposo. Porge il polso e confessa che prima era impossibile mettere in versi e in musica la vita che le hanno drogato. Che adesso vuole essere il cibo, il monte pietroso e quella nuova pietà generazionale. Così che quando canta provoca il tumulto, e chiede la coscienza a ciascuno di noi e che dobbiamo inginocchiarci davanti alla sofferenza di ogni donna. Perché Pietra come una santa dagli occhi azzurrissimi ci dice cosa cospira contro la sua parte.
Perché lei crede a ogni sillaba dell’amore, e sa che il suono del cuore è uguale a mille finestre accese nel paradiso.
Rigina assomiglia allo scolo della disperazione, perché Napoli ha ormai i capezzoli di una vacca secca. Lì tutto è preghiera, richiesta di rarissima gioia.
Pietra che la canta è la stessa di sempre: una voce infernale, quell’assoluto che capita quasi mai.
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