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La Crociata di Fazio al Festival della TV e Media per difendere i compensi Rai milionari come il suo

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di Roberto Manfredi

Fazio, durante il Festival della tv e media a Donegani, è stato intervistato da Aldo Grasso. Fabio Fazio si è tolto dei sassolini dalla scarpa ancora una volta. Il tema è la Rai, il tetto dei compensi alle star, l’invadenza della politica nella televisione di Stato.

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Fazio è un uomo Rai. Per sua stessa ammissione conosce tutti coloro che ci lavorano da sempre. Ha portato consensi, ascolti e fornito quel servizio pubblico che la stessa azienda richiede. Ha un forte potere contrattuale come tutti i pochi  anchorman televisivi rimasti. E fa bene a sfruttare la sua posizione di privilegio anche perché potrebbe andare alla concorrenza con una semplice telefonata. Beato lui.

Ciò nonostante, non si può trascurare un tema importante : la crisi economica che dura e perdura dal 2008. Nei tardi anni ottanta, Berlusconi chiese a tutte le sue star televisive, una riduzione dei loro compensi attorno al 20%. Anche allora c’era una crisi in corso, che in confronto a quella attuale risulta persino risibile. Tutti accettarono, ben consapevoli che il mercato televisivo è un sistema complicato dove giocano variabili improvvise e  difficilmente prevedibili. Ma se allora gli autori e i conduttori televisivi potevano contare su budget importanti mantenendo così uno “status quo” invidiabile, oggi la situazione è ben diversa, sia dal punto di vista economico che culturale.

fazio

Negli anni ottanta non c’era alcuna forma di protesta populista. Si viveva nell’illusione della crescita economica, nel cosiddetto riflusso. Il Partito Socialista, arbitro indiscusso della governance politica, proclamava a gran voce il famoso motto : “La nave va”, il “Bel Paese come quarta nazione europea in crescita economica e industriale” e tutti ci credevano, opposizione compresa.

Oggi la situazione è ben diversa. I soldi non girano, il debito pubblico ha raggiunto livelli record, la disoccupazione giovanile viaggia attorno al 45%, la pressione fiscale è la prima in Europa. A fronte di questi dati certi e indiscutibili, non è possibile considerare il settore televisivo, un mercato particolare, diverso dagli altri.

Fazio ha giustamente ricordato che gli anchorman televisivi devono essere considerati come i giocatori di calcio nello sport. Un valore. Sono i campioni e i loro gol e la loro quotazione economica che fanno crescere il mercato. Fin qui tutto bene, ma quando vai ad analizzare i conti scopri facilmente che quasi tutte le società di serie A (Juventus a parte) sono in rosso. Il calcio è un business controllato da procuratori e società che si regge per gran parte sul calcio mercato e sulla compravendita dei diritti televisivi delle partite. Tra le altre il calcio è facilmente esportabile nel mondo e si confronta con un mercato globale. La televisione italiana, invece, non ha alcuna possibilità di export nel mondo. Basta vedere i palinsesti dei nostri network tv per rendersi conto che l’ 80% dei format che vediamo sono stati importati dall’estero.

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Fabio Fazio lo sa benissimo, ma evita di parlarne, così come evita di analizzare le strutture elefantiache dei colossi tv (Rai e Mediaset in particolare), che si sono dotate negli anni di costi ingestibili, di esuberi di personale, di strutture (sedi, studi e immobili) assolutamente non competitivi. E’ corretto quindi incolpare i politici di insostenibile ingerenza nel business tv? Perché chi ci governa, non dovrebbe mettere il naso in Rai, così come lo fa in Alitalia o in altri asset nazionali?

Il problema è così complesso e articolato che la polemica di Fazio appare, inevitabilmente, una crociata personale e del suo staff (management e autori ), non tanto al fine della salvezza della RAI e dell’azienda in cui è cresciuto. Il valore a chi porta investimenti pubblicitari è sicuramente da riconoscere, ma il merito non è unico, va suddiviso tra tutte le componenti in campo: il pubblico in primis che paga il canone, l’editore, l’anchorman e il suo staff, la concessionaria, le aziende che investono. Se si trascura questa visione d’insieme, non si fa giustizia alla soluzione del problema.

Per certi versi Fazio ha ragione a rivendicare il suo valore di mercato (il suo brand), ma resta il fatto che la RAI è e resterà azienda pubblica, da sempre in gran parte sostenuta da noi contribuenti e per questo non considerabile alla stregua delle aziende private. Fabio Fazio, dimentica questo piccolo particolare e non può pretendere che l’ intera classe politica faccia il suo stesso errore di valutazione.

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Infine… per dirla tutta, con la stessa voce della nota casalinga di Voghera, quando muore un Papa se ne fa un altro… e intanto, però, la Chiesa resta. La stessa cosa vale certamente anche per la televisione e per i suoi “Papi” alla conduzione.

Caro Fazio, non sarebbe comunque uno scandalo continuare a esercitare il proprio privilegio, guadagnando un po’ di meno, ma restando ricco comunque. Ne beneficerebbero anche tutti quei professionisti che in televisione ci lavorano e che da anni, pur di lavorare, sono costretti a tagliare i loro compensi del 50%. Noi autori ne sappiamo qualcosa, credimi. Un reddito più equo e ridistribuito a tutti coloro che fanno la tv, potrebbe anche essere un concetto di sinistra. O no?

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