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Massimo Bonelli al MusiClash: «Oggi ci sono tante superstar minori»

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Alla prima edizione del festival salentino MusicClash, il direttore del Primo Maggio Massimo Bonelli parla di ‘nuova democrazia musicale’. Ma la moltiplicazione delle voci ha giovato anche alla qualità dell’arte?

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Al MusiClash 2025, festival dell’immaginario cinemusicale diretto da Mimmo Pesare, docente di Psicopedagogia del linguaggio, e promosso dall’Università del Salento, Massimo Bonelli – direttore artistico del Concertone del Primo Maggio – ha offerto una riflessione lucida e provocatoria sullo stato dell’industria musicale contemporanea.

«La quantità di opportunità che gli artisti hanno oggi è infinitamente superiore a quella del passato», ha dichiarato, sottolineando come lo streaming e i nuovi canali digitali abbiano moltiplicato gli spazi d’espressione per chi crea musica. 

Una conquista, certo, ma anche un rischio. Bonelli lo riconosce, sottolineando con parole efficaci come oggi non esistano più le superstar di un tempo: «Lo streaming ha generato molti più artisti che riescono ad ottenere qualche forma di successo, magari successi meno giganti… Gli anni Ottanta avevano poche gigantissime superstar e tanti artisti minori, oggi ci sono tante superstar minori, tutte più piccole, ogni territorio ha le sue». E il paragone è emblematico: «Michael Jackson è sato cento volte Taylor Swift».

Il messaggio è chiaro: il successo oggi è diffuso ma frammentato, una costellazione di micro-pubblici che raramente produce vere icone globali. 

Bonelli – presente al festival anche per presentare il suo recente libro “Play. Tutto quello che c’è da sapere sulla musica attuale” – individua nel nuovo processo un contrappeso complementare, slegato dalle logiche mainstream, del tutto positivo: «In Italia si sta creando un meccanismo alternativo, parallelo, che è quello indie. Se riesco a costruire un pubblico di mille persone che mi segue e compra i miei dischi, posso fare un percorso di successo pur all’interno di una nicchia».

L’esempio è quello di Marco Masini, cantautore popolare non più giovanissimo che ha scelto una strategia controcorrente: ha pubblicato l’intero album “10 Amori” in vinile e CD in edizione limitata per i fan il 4 ottobre 2024, riservandone la fruizione iniziale alla sua community più fedele, per poi diffondere i singoli in digitale e solo il 10 gennaio 2025 l’intero album sulle piattaforme streaming. Un modo intelligente di valorizzare il rapporto diretto con il proprio pubblico, sottraendosi alla giungla algoritmica del mercato digitale e alla concorrenza con i “colleghi” di nuova generazione. 

Eppure la domanda resta: la quantità può convivere con la qualità? La democratizzazione musicale ha reso la musica accessibile a chiunque, ma anche più dispersiva e inquinata da produzioni effimere. La sovrapproduzione rischia di ridurre la musica a rumore di fondo, cancellandone la profondità, la riconoscibilità e la tensione verso la bellezza.

A peggiorare il quadro, si aggiunge il sostanziale contributo della rivoluzione sanremese di Amadeus, che ha imposto una direzione smaccatamente popcentricaSotto la bandiera della modernità, il Festival ha escluso o marginalizzato tanti artisti di valore, addirittura talenti irreplicabili. Tutto viene uniformato da un sistema che spinge gli artisti – indipendentemente dall’età – a snaturarsi pur di rientrare nel canone del momento: “o ti adegui o sparisci”.

Nel microcosmo dei talent show e degli “Amici di Maria”, il più eterodiretto dalle major, emergono tuttavia delle eccezioni. Alcuni nomi – come Elodie o Gaia – dimostrano che è possibile uscire dal recinto da cui provengono, costruendo un pop audace e contaminato, capace di fondere ricerca musicale e identità visiva. La visibilità televisiva diventa così uno strumento di libertà espressiva, generando personalità estetiche (con una chiara impronta visiva) ed estetizzanti (consapevolmente orientate alla costruzione di uno stile), proiettate verso l’Europa e le nuove tendenze globali.

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Ma il problema rimane: troppa musica, troppa fretta, troppa omologazione. 

Un Lucio Dalla o una Milva, oggi, riuscirebbero a lasciare un segno così monumentale? Difficile pensarlo in un contesto che misura il valore a colpi di stream e like. La lentezza, la profondità e la complessità poetica non trovano più spazio in un sistema che privilegia l’immediatezza. 

La moltiplicazione dei canali ha certamente democratizzato l’accesso, come ha evidenziato Bonelli, ma ha anche indebolito quel filtro culturale che un tempo definiva un orizzonte di qualità condiviso. Manca, quindi, una figura capace di distinguere il talento autentico e orientare il gusto – un nuovo Pippo Baudo, per intenderci – che sappia riconoscere la sostanza dietro la superficie, educando all’ascolto consapevole.

Non è un caso, infatti, che oggi visibilità e merito vengano spesso sovrapposti, anche se – va detto – le nuove generazioni, rispetto al passato, mostrano un valore diverso: quello di saper usare la musica come veicolo di femminismo, diritti LGBTQ+ e nuove sensibilità sociali, un fronte culturale che resta significativo anche quando la scrittura non è rivoluzionaria.

L’intervento di Bonelli al MusiClash, nella mattinata di venerdì 10 ottobre, nell’Aula 7 del Complesso Studium 2000 dell’Università del Salento, ha riaperto un dibattito necessario: la musica è oggi più accessibile, ma anche più omologata. La quantità non basta più: servono identità forti, tempo e coraggio per distinguersi.

Perchè, in un mondo in cui tutti cantano, contano solo quelli che hanno davvero qualcosa da dire e che non possono essere sostituiti: voci e talenti con super poteri reali, capaci di piegare la musica e il pubblico alla propria identità. 

Alla prima edizione del festival salentino MusicClash, il direttore del Primo Maggio Massimo Bonelli parla di ‘nuova democrazia musicale’. Ma la moltiplicazione delle voci ha giovato anche alla qualità dell’arte?

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