Da giorni si fa un gran parlare di un brano da poco pubblicato e del relativo videoclip: si tratta di This is America, di Childish Gambino, alter ego musicale del poliedrico Donald Glover.
Alle prese con l’uscita del film Solo: A Star Wars Story, impegnato nella seconda stagione dell’incredibile serie Atlanta, in Italia in onda su Sky Atlantic, Donald Glover (attore, cantante, rapper, sceneggiatore, regista e DJ statunitense) ha da poco diffuso il suo nuovo singolo e soprattutto video,This is America, che ha scioccato critica e pubblico per il modo in cui affronta il conflittuale clima socioculturale in cui è costretta la comunità afroamericana negli ultimi anni.
Per comprendere la clip bisogna guardarla più volte: le immagini suggestive, la fotografia affascinante, celano infatti una serie di rimandi metaforici con cui Glover – sorta di menestrello che a prima vista ruba la scena al nitore straniante dello sfondo – vuole mostrare cosa significhi essere black oggi.

Nell’America di Trump, delle armi e delle violenze della polizia – disegna per noi Glover mischiando sapientemente rimandi biblici caricature razziali e riferimenti ai fatti di cronaca d’oltreoceano – essere neri significa veder vacillare sistematicamente la propria identità, piegata dalla cultura bianca dominante.
Ecco dunque Glover, movenze eccessive da novello Jim Crow, caricatura con cui i sudisti si prendevano gioco della cultura degli ex schiavi, agitarsi sullo sfondo industriale e metropolitano solo apparentemente candido, in realtà sporco, difficile habitat dei giovani afroamericani di oggi.
È la danza stessa di Glover a svelare, incarnandola, la violenza che spacca a metà gli Stati Uniti: prima colpisce alla testa a un uomo incappucciato che abbraccia una chitarra (l’artista Charles the Second, inizialmente scambiato per il padre del ragazzo ucciso senza motivo dalla polizia, Travon Martin), poi stermina un intero coro gospel, a richiamare i sanguinosi fatti di Charleston. E di nuovo balla, Glover, attorniato da studenti di colore impegnati nel gwara gwara (danza sudafricana resa popolare da star come Rihanna); si dimena in mezzi a resti di auto, uomini che fuggono, finché lui stesso deve scappare con la polizia alle calcagna.
Il brano afrobeat di Gambino, mentre ci scorrono davanti queste potenti “fotografie” della cronaca americana, appare allora tutt’altro che una lettera d’amore; è un ambiguo, allucinato messaggio di conflitto: “vogliamo solo divertirci e fare soldi“, recita il testo, ma la realtà è dura: “This is America / Don’t catch you slippin’ up! – Questa è l’America, non farti cogliere in fallo!”
A finire sotto attacco è la politica della violenza, con le armi ormai “nel quartiere” e poi quelle aspirazioni che per la comunità black sono anch’esse armi, perché veicolo di una pericolosa, schiacciante omologazione: “Look how I’m geekin’ out / I’m so fitted / I’m on Gucci / I’m so pretty / I’m gon’ get it – Guarda come mi appassiono, sono in forma, vesto Gucci, sono carino, tutto questo sarà mio“.
È l’America della brutalità di una polizia sempre più militarizzata che si scaglia contro gli inermi Stephon Clark, ma è anche l’America dei giovani afroamericani che come “cagnolini” si fanno abbindolare dalla falsa promessa di uguaglianza, per sbattere la testa contro il muro non appena, smessi gli abiti Gucci, smettono di ballare l’ultima coreografia cool.
This Is America è una sirena d’allarme da ascoltare e riascoltare, guardare e riguardare, per comprenderne appieno la natura dell’ atto d’accusa – l’America è un Paese intriso di violenza che avvelena la comunità black – e autoaccusa – la comunità black non è immune da “colpe”; fotografia, scattata con rabbia, delle dolorose contraddizioni di una società.
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