di Marco Fioravanti
I giovani talenti perduti, senza potersi riconfermare, come arrivano spariscono. Sono moltissimi e affollano le nostre classifiche e i programmi televisivi. Sono moltissimi e cambiano di continuo, c’è un turnover velocissimo.
I motivi di questo perpetuo ricambio continuo sono parecchi.
Diciamo che raggiungono i livelli massimi della propria carriera già con il primo o con il secondo disco, quando uno come Lucio Dalla ci ha messo anni e anni di gavetta. Gli errori che si fanno ad inizio carriera, servono per affinare il talento e per imparare a gestire lo stress e le emozioni del lavoro di cantante.
Quando si pensa di essere già i migliori da subito, o ci si mette in gioco e si cresce, come fece per esempio Jovanotti, inventato da quel visionario di Cecchetto, oppure ci si perde in un repertorio senza futuro.
Un’altra ostinazione che non porta a nulla è la presunzione di voler far tutto da soli, creando prodotti a tavolino, con un pc e commettendo gli errori inevitabili di chi si affaccia per la prima volta nel mondo della canzone senza competenze.
Quando il talento c’è, va sostenuto e affinato
con collaborazioni di chi è già nel settore e da chi conosce il mestiere della musica: parole, note, arrangiamenti, sono solo la punta dell’iceberg di un mercato che consuma e non ammette incompetenza.
Il lavoro del produttore e di alcuni discografici è fondamentale.
Tanto per citare due esempi lampanti, se non ci fosse stata Mara Maionchi chi sarebbe oggi Gianna Nannini? Alberto Fortis, Mango e Tiziano Ferro, senza Alberto Salerno sarebbero davvero stati Fortis, Mango e Tiziano Ferro? In questo caso il talento c’era ma certamente è stato notato, e aiutato ad emergere, secondo chiari obiettivi di carriera.
La carriera è un programma a lunga scadenza.
In altri casi, nemmeno poi a stupirsi della sparizione di ex talenti, mancano proprio le basi, l’Abc, i fondamenti di un mestiere, di una crescita professionale. Manca l’educazione alla gestione di un ambiente che ti consuma brevemente.
Se una ragazza vuole cantare, vuole diventare una grande interprete, oltre a studiare canto, dovrebbe umilmente ascoltare le più brave cantanti di sempre, non per scimmiottare, ma per capire quale valore aggiunto perseguire con i propri mezzi tecnici e umani.
Cantare non è gridare e camminare vantando presenza scenica sul palco e ce lo hanno dimostrato Mia Martini, la Vanoni, Mina, la Streisand, Aretha Franklin, ma anche Juliette Greco e la Piaff.
Cantare è entrare nel cuore di una melodia e poi divulgarla. Se al pubblico arriva una verità del cantante, gioia o sofferenza che sia, significa che il cantante ha fatto bene il suo mestiere. Altrimenti, per chi riesce solo a sciorinare una bella voce ma non riesce a superare quel limite, ci sono le balere, le serate, i piano bar e le sagre.
Come in ogni professione, gli improvvisati hanno vita breve. La preparazione è la base per poi poter essere pronti, al momento giusto, nel posto giusto, con le persone giuste.
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