di Federico José Bottino per YOUng
Avere una sorella è un dono prezioso, sebbene non raro, e avere un fac-simile genetico in casa, generalmente figlia della stessa generazione, può far molto riflettere su ciò che è il mondo e quello che è la società che ci circonda.
La mia sorellina si chiama Rebecca ed è 6 anni più piccina rispetto a me.
Come molti secondogeniti è migliore di me in tutto: è più intelligente, più educata, più diligente, più sveglia e più matura – e no, il fatto che sia una femmina non c’entra un cazzo -. Da buoni borghesi, i miei genitori iniziarono entrambi allo studio della musica e del pianoforte rispettivamente all’età di 5 anni. Quando Rebecca contava i suoi anni su un’unica mano io avevo già mollato il pianoforte per la chitarra e parevo bravino. A Rebecca il pianoforte non piaceva e la poca voglia di suonarlo faceva sembrare che non fosse portata per la musica. Per qualche anno vissi nell’illusione di essere più bravo di lei almeno in qualcosa ma, mentre preparavo la maturità, lesto mi dovetti ricredere perché Rebecca prese coraggio, mollò il pianoforte e all’età di 12 anni si mise a suonare il flauto traverso. E improvvisamente eccola muoversi agile fra una nota e l’altra ed esprimersi come mai l’avevo vista.
“Hai una naturale impostazione da flautista jazz. Sei molto talentuosa” le diceva spesso la sua insegnante.
Ed eccola dunque di nuovo a fare la secondogenita, quella brava. Quella migliore.
Sei anni di differenza sembrano tanti ma in realtà sul lungo periodo non lo sono affatto. Più cresciamo, più le differenze si assottigliano, le passioni si accomunano e i gusti si assomigliano. Ma non sempre è stato così. Parlando di musica, c’è stato un nero periodo in cui i miei gusti musicali cozzavano aspramente con le canzoni del cuore della mia dolce sorellina che, nel pieno dell’adolescenza, vantava una playlist che avrebbe fatto suicidare Keith Richards. E anche se dapprima alcuni titoli di canzoni e band mi facevano accapponare la pelle, col passare del tempo mi portavano a pensare su quanto i media avessero influenza sulle nuove generazioni e, vicendevolmente, in che modo i giovani influenzassero il mondo della musica e in particolare quello della discografia.
Il fatto che negli ultimi 25 anni il mondo della discografia sia entrato in crisi non è un opinione bensì un fatto.
Se apriamo una qualsiasi pagina di Wikipedia riguardante il maggior numero di vendite di album nella storia, scopriremo nostro malgrado che alcuni dei nomi più recenti a comparire sono ad esempio Britney Spears, Backstreet Boys e Spice Girls. La maggior parte degli album che hanno totalizzato vendite superiori ai 40 milioni di dischi venduti sono firmati da artisti in attività a cavallo fra l’inizio degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’90.
Possiamo inoltre notare una forte decrescita nel numero degli album venduti fra i vari fenomeni pop contemporanei rispetto ai loro predecessori moderni. Per fare un rapido ma non azzardato paragone, se Thriller di MJ vendette 65 milioni di copie, il suo nipotino hawaiano, conosciuto con il nome d’arte “Bruno Mars”, totalizza “solo” 8 milioni di copie per il suo primo album Doo-Wops & Hooligans. Se quindi la totale discografia di Michael Jackson quasi raggiunge il mezzo miliardo di copie vendute nel mondo, collezionando un innumerevole numero di dischi d’oro, di platino, di diamante, il buon Bruno dovrebbe riuscire a pubblicare altri 24 singoli come Treasure per riuscire a colmare anche solo la metà del divario.
Certo, i tempi sono cambiati e i metodi di fruizione musicale sono molto diversi rispetto al canonico vinile. Lo stream, quindi Youtube, Soundcloud, Spotify, Pandora, minacciano ogni giorno gli stores di dischi tanto da far chiudere Fnac a Torino e lasciare desolato il reparto dischi Feltrinelli tanto da renderlo un posto adatto per farsi una bella pomiciata con l’amorosa.
Eppure, se andiamo a fare le pulci alle statistiche di Youtube, sempre nostro malgrado scopriremo che fra le band più cliccate c’è sì Bruno Mars, ma prima di lui – o insieme a lui – ci sono One Direction, Justin Bieber, Miley Cyrus.
Youtube è d’altronde quel magico posto in cui le ricerche degli utenti si memorizzano e il loro insieme testimonia il fatto che le persone preferiscano Avril Lavigne ai Pink Floyd. Il che è particolare dal punto di vista economico: i Pink Floyd – grazie al cielo! – hanno totalizzato più vendite di Aprile Lavigna; allo stesso tempo è interessante dal punto di vista sociologico, poiché è indubbio che l’utenza preferisca visualizzare i video della seconda e che quindi sul margine mondiale, includendo le nuove – nuovissime – generazioni Avril sia più conosciuta dei PF.
Anche il numero di artisti prodotti è aumentato.
Negli anni ’70 le nuove uscite internazionali – parliamo di artisti e non di singoli – non erano più di 3 all’anno. Nel 2015 ogni anno MTV ne fa sfilare almeno una quindicina di nuovi, fra talent show e serie Tv – non dimentichiamoci che anche Ariana Grande è figlia della TV -, per poi dimenticarsene dopo meno di un lustro.
Quanti di voi ricordano Delay? Dove sono finiti i Tokio Hotel? Che fine ha fatto quel belloccio di Jesse McCartney? Chi cazzo è Ashlee Simpson?
Ma torniamo dunque alla mia sorellina, per cercare di disegnare una cornice a questo grigio quadro che è la discografia moderna.
Nonostante la sua attitudine per la musica e i suoi anni passati a studiare teoria e solfeggio, la mia sorellina nel 2010 ha 12 anni. Ha appena iniziato a suonare quello che diverrà il suo strumento e si è appena innamorata di un gruppo che si chiama One Direction. E’ passata dai Finley, ha corteggiato i Gemelli Diversi, un po’ ma non troppo, e ha avuto una mezza cotta per gli Zeroassoluto.
Gli 1D (così li chiamano le fan) rubano però il suo cuoricino adolescente e se lo portano a spasso per due anni e mezzo.
Quando torna a casa con il cofanetto speciale contenente l’album e il DVD degli 1D, con sguardo in preda alla disperazione le chiedo urlando: – Perchè? –
–Sono una Directioner – mi risponde lei con una faccetta tenera ma inorgoglita. Directioner, così si fanno chiamare le fan degli 1D. Io non me ne capacito e mi metto a fare ricerche su ricerche per capire come sia possibile che la mia brillante sorellina abbia perso la testa per un gruppo di ragazzetti che come loro cavallo di battaglia ha scelto un plagio di Summer Nights di Grease (ascoltare per credere). Dalle mie ricerche risulta che un’intera generazione è impazzita per gli 1D e le ragazzine che sono loro sfuggite è semplicemente perchè sono rimaste fedeli al loro precedente fidanzato immaginario: Justin Bieber.
Mi faccio quindi un esame di coscienza e mi chiedo cosa ascoltassi io all’età di 12 anni.
Nei miei ricordi di bambino noioso e disadattato riaffiorano componimenti classici: Requiem di Mozart, stagioni di Vivaldi e capricci del Paganini. Anche qualcosa di Mussorgsky – che piaceva tanto a papà – e tanto, tanto De Andrè.
Però poi scavo a fondo, cerco bene e mi sforzo di ricordare i momenti in cui cercavo di socializzare – in maniera ahimè fallimentare – con i miei compagnucci delle elementari e delle medie. Ed ecco che inizio a canticchiare sottovoce, quasi come me ne vergognassi: “c’è qualcosa di grande tra di noi. Che non puoi cambiare ma-a-ai. Nemmeno se lo vuoi”. E ancora:Nord Sud Oves Est, Cloro, Gli anni. Poi mi viene in mente anche qualcosa in inglese: Songs About Jane, Eminem e tanto, tantissimo RnB. Devo ammettere però che l’RnB lo guardavo più per i video pieni zeppi di gnocca: avevo appena scoperto la masturbazione, capitemi.
Torno quindi da mia sorella che con gli auricolari nelle orecchie borbotta “That’s what makes you beautiful” e le dico: guarda che questa roba smetterà di piacerti. Crescerai e non ti piaceranno più. Lei mi guarda in tralice, mi fa la linguaccia e si rimette a riascoltare gli 1D.
Sono passati 3 anni. Mia sorella è cresciuta, ora ascolta De André, i Modena City Rambles, Bruno Mars, i Tribalistas, gli Heymoonshaker e alcuni altri. Gli One Direction si stanno sciogliendo ma a Rebecca non frega più nulla. L’ho chiamata l’altro giorno per dirglielo e manco lo sapeva.
La morale della favola è che, a mio modesto e regale parere, l’industria musicale si sia impantanato nel meccanismo perverso del teen pop. Il fatto che da fine degli anni ’90 Britney Spears sia diventata un’icona per le ragazzine che volevano essere troie come lei e i ragazzini donarle il loro seme – me compreso. In molti dei miei sogni l’ho anche fatto – ha simboleggiato un vero e proprio sodalizio discografico fra gli adolescenti e le major.
Come prima dicevamo, i tempi sono cambiati e i metodi di fruizione anche. I soldi veri arrivano non più dai dischi bensì dalla televisione e dagli sponsor ed è molto più facile indottrinare esseri privi di senso critico a comprare magliette e fragranze piuttosto che convincere adulti a spendere soldi per acquistare un disco.
Questa pedofilia discografica sta tuttavia dimostrando non solo di generare prodotti che hanno vita breve, ma anche di non star riuscendo ad alimentare più i meccanismi fondamentali che permettono agli artisti di proseguire con una carriera stabile, alimentando ciò che c’è di sano nella discografia: i live, i concerti.
I concerti sono sempre meno perché le persone non comprano i biglietti.
Le persone non comprano i biglietti perché, ad eccezione delle big band che si possono permettere i grandi tour mondiali grazie alla loro carriera iniziata prima del ’95, sono solo le teen pop star (o le teen band) ad avere un budget sufficiente per muoversi su scala internazionale.
Quanti tour potrà però fare Violetta prima che il suo pubblico inizi ad avere le mestruazioni?
Dovrà quindi anche lei come Miley Cirus, per seguire la crescita anagrafica dei suoi fan, trasformarsi da ragazzina Disney a tossicaccia di strada che ti sbatti in un angolo sporco della Tiburtina?
Investire sui teenager è senz’altro comodo. Ma non dura. E io capisco senz’altro che le major non siano dei mecenate bensì delle aziende, ma a tutto c’è un limite e, soprattutto, è evidente che gli investimenti praticati negli ultimi 25 anni a eccezione di pochissimi, siano stati fallimentari. Bisogna quindi trovare dei compromessi e far sì che le generazioni venture siano educate a una musica e quindi a prodotti discografici che saranno capaci di accattivarli anche dopo che avranno imparato a risolvere un’equazione di secondo grado. E in quel compromesso che risiedono i grandi successi della musica pop. Come Beyoncè, come MJ e come Bruno Mars.
Per quanto ci riguarda, io e la mia sorellina il prossimo anno andremo a sentire Ed Sheeran. Piace a entrambi. Funziona. Farà carriera. Durerà.
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