di Nino Tristano Pirito
Se stamani sono qui, è perché vi voglio bene.
Lo so, sono un cretino. Utilizzo una piccola variazione di un pezzo di Tenco, per cominciare.
Ma cretino – Sanremo o non Sanremo – lo sono sempre stato. E non un cretino… intelligente. Di quelli che fanno i cretini ma poi sanno come sfruttarsi. Io sono un cretino VERO. Di quelli che – per questo – hanno pagato e pagano tutto. Di quelli che “le cose si dicono in faccia”, ancora prima di scriverle, “se ho ragione, ho ragione con chiunque abbia a che fare”. Eh sì, bravo fesso. Chiunque. Bravi i cretini che con altri cretini fanno, quando serve, un bel pass indietro, si scusano, ritirano, precisano.
Io no. Anche se ho chiesto scusa varie volte. Specie a chi contava – o sembrava contare – poco. Ho chiesto scusa, privatamente, a Sandro Giacobbe, che nel 1990 (Palafiori di Arma di Taggia, Aragozzini boss), e neppure per colpa solo mia, avevo messo all’ultimo posto delle previsioni della cosiddetta sala Stampa, pubblicando la classifica su “Il Secolo XIX” di Genova. E pensare che era il primo anno che lo facevamo. Prima si pubblicavano solo i pronostici per i possibili vincenti. E fu il mio quasi fratello Claudio Sabelli Fioretti a convincermi: “Ci sarà più pepe….”. E pensare che penultima era “uscita” Milva. Sarebbe bastato fare un minimo “mastruzzo” (maneggiamento, pasticcio, in genovese) per dare una “vera” notizia, ancorché non-notizia. Quella volta, da Giacobbe rischia le botte. E aveva ragione lui: “Ma lo sai quanto mi ci è voluto per tornare al Festival?”, mi disse ringhiando. Lì per lì tenni il punto. “Sei arrivato ultimo nelle previsioni, mica me lo sono inventato”, “I giornalisti (?) hanno il DOVERE di scrivere quello che è”, e via così. Poi, tornato a casa ci ripensai. Chiamai Giacobbe e mi scusai. Tornammo buoni conoscenti.
Così come con Ruggeri. La cui “la balalaika” (anno? non ricordo) non mi era piaciuta. Sul Secolo avevo dato un voto basso con ricca motivazione. Ma al Dopofestival, a poche ore dall’uscita in edicola, non me la sentii di non anticiparglielo e motivarglielo. Lui cominciò a darmi del “lei”, io pure.
Ma poi, tornato a casa, feci come con Giacobbe: mi scusai della violenza dell’impatto negativo. Lui sembrava neppure ricordarsene. Ma facemmo pace. E ancora oggi, ci sentiamo o scriviamo. Vabbè, tempi che furono.
Come i tempi di Al Bano, in cui il cellinese non era ancora eroe nazionale osannato dalla critica(?) come oggi. E ieri. Beh, devo dire che – pur vecchio marpione, io – ieri sere mi sono commosso. Il cuore è uno zingaro, è vero. E cede ai sentimenti semplici ma robusti. la sua “La mia vita” (titolo corretto?) ieri, come nel ’94 (mi pare) mi è apparsa la “nostra” vita. O, forse, solo la mia. Piena di orgogli e pregiudizi, sogni e rimpianti, etici etici (cfr Frassica, Quelli della notte). Davvero sono un cretino: cito, cito, cito. Per nascondermi forse. Per rimandare il mio parere sul festival 2015, anche.
Parere: non male. Un po’ farraginoso all’inizio, normale dopo.
Le canzoni? Un paio mi sono piaciute. Come quella (titolo?) di Neslie (corretto? ma vedi tu quanti “non so bene”, impreparato come sempre. Salvo che negli anni in cui ti ammettevano alle prove anche un mese prima e non dovevi aspettare i pre-acsolti. Che, io, però, non ho mai avuto a disposizione. Mica sono Feggizze o la canzone di Marinella. Manco Torta & Rolo che (due in uno, uno gentile l’altro jena non ridens) presero il mio posto al desk dal 2003 in poi.
Nino, Nino, non cadere preda della Nostalgia. Meglio pensare – senza nostalgia – e senza piaggeria a Mara e Alberto, compagni di notte e di lotte. Lotte? Acchì???
Una soddisfazione, anzi tre, però le ho avute davvero. Anzi 4. Qui NON in ordine cronologico, salvo la prima….
– La prima nel 1969 quando rischia di salirci io sul Palco, per la EMI, con “No no no”, buttato fuori – dopo le preselezioni – da un editto di Ezio Radaelli (lo mandai a Quel paese in diretta, in radio, conduttore Sandro Ciotti, caio S.)
– La seconda: l’abbraccio di Luis Bacalov, presidente di Giuria Artistica, l’anno degli Avion Travel. Alla fina di una scarna sua conferenza stampa, prima di accettare le domande dei colleghi(?) scese dal tavolo, mi abbracciò a lungo e poi risalì a rispondere
-la terza: parlavo con Migliacci, Micalizzi, bardotti e altri, quando mi sento chiamare da un anziano (quasi) signore: “Ciao Nino”. “Chi è”, chiesi a Migliacci o a Micalizzi che di nome fanno entrambi Franco. “Ma come chi è? E’ Mario Cantini, l’ex direttore delle edizioni RCA. “Rca per la quale, nel 1965, avevo inciso un brano, orrendo, che mi fecero portare al festival delle Rose di Roma. Fuori la prima sera, giustamente. E che fu il motivo della mia fuga per Milano. “Ah, Cantini!”. Intanto, lui mi aveva appena detto “Ma lo sai che eri bravo”. E io, incazzato come una bestia: “Grazie, ma perché non me lo dicesti allora, stronzo!”. No, forse stronzo non glielo dissi. Ma sicuramente lo pensai.
– quarta volta: sono al desk secolare (anno del Clarinetto? Boh) quando si avvicina un Signore di quelli Signori: “Posso avere l’onore di stringerle la mano, Maestro?”. “Certo”. “Piacere, Mattone, Claudio Mattone”. Ma tu capisci? Sono cose che restano nel cuore. Il grande Mattone che mi chiama Maestro. Ma chi l’ha visto mai (ultima cretina quasi citazione da “La nevicata del ’56”.
Dice: che palle co’ tutti ‘sti ricordi. Sono d’accordo. ma c’è un perché: ho l’impressione – e qualcosa di più – che il Conti abbia scelto la strada dei ricordi. E forse gli andrà bene (ma mo’ mi vado a guardare gli ascolti della prima serata, chè mentre scrivo non li so volutamente ancora). Comunque io sto con Neslie (se si scrive così).
ps: se ho sbagliato qualcosa, mi scuso. Il refuso è dietro l’angolo
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