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SANREMO 2020, UN FESTIVAL SENZA RIVOLUZIONE

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La prima cosa che mi viene in mente pensando a quest’ultima edizione del Festival di Sanremo, la 70ma, è la mancanza di novità.

Si, signori, sono anni che non ci sono canzoni e artisti “rivoluzionari”.

Una volta le novità arrivavano dagli stranieri e faccio due esempi su tutti: Peter Gabriel con “Shock the monkey” nel 1983 e Sting con “Russians” nel 1986. Furono due esibizioni che lasciarono pubblico, critica e addetti ai lavori, senza parole. Era anche in questo modo che la musica italiana imparava e assorbiva le tendenze innovative della musica inglese, era grazie a questi artisti che si progrediva.

Ma questo succedeva allora, ai tempi di Gianni Ravera, patron illuminato, e Pippo Baudo, uno che ti telefonava a casa per dirti che una strofa o un ritornello non funzionavano a dovere. Altri tempi, altri festival.

Ma non scrivo questo con il classico rimpianto di chi pensa al passato. E’ soltanto puro realismo, prendere atto dei fatti.

Cosa c’è stato di rivoluzionario nei rappers che sono saliti sul palco dell’Ariston? Cosa abbiamo sentito di nuovo? Nulla, perché alla fine gli stessi testi rap sono più o meno tutti simili: molta rabbia, tutta convogliata contro una società sbagliata. E non è che loro abbiano tanti torti. Ma la canzone rivoluzionaria non nasce necessariamente dalla rabbia.

“Volare” era una canzone con un testo surreale, accompagnato da una melodia straordinaria e cantato da un Modugno con una energia che spaccò i televisori: tre elementi fondamentali. Ed ecco che la potenza di “Nel blu dipinto di blu” non aveva nulla da spartire con tutte le altre canzoni presenti a quel festival.

Non dico una novità, questa è una cosa che sanno tutti, ma è solo per far capire quanto si sia omologata la scrittura delle canzoni italiane di oggi. Tranne alcuni casi straordinari come “Soldi” di Mahmood, e qualche altra, tutto il resto è noia, per dirla alla Califano.

Ciò che manca sono i “ricercatori”. In altri settori i ricercatori ci sono eccome, nella scienza, per esempio, ma anche nella scultura e nella pittura. Nella musica sono troppo pochi quelli che cercano strade diverse. E’ pur vero, a loro discolpa, che la tecnologia ha portato molti pressapochisti senza alcun talento a utilizzare strumenti come un Pc per fare musica, e il web accoglie tutto e tutti come se fosse una enorme cloaca. Troppa produzione, anche, troppa offerta sul mercato del cosiddetto streaming.

Prima di Sanremo ho seguito per qualche giorno la classifica Viral Italy su Spotify. Mi sono reso conto che l’80% dei cantanti presenti non sapevo chi fossero. E poi è arrivato l’ennesimo Festival di Sanremo, carico come sempre di promesse e rivoluzioni che vengono puntualmente disattese, con buona pace degli addetti ai lavori e del pubblico. Tanto Sanremo chi lo ammazza?

Cito un passaggio dell’introduzione di Eddy Anselmi, autore del libro “Il Festival di Sanremo”, vero compendio dettagliato di tutte le edizioni del festival. Scrive, dunque, Anselmi:

Il festival di Sanremo e diventato il nostro Pantheon. Una tradizione nazionale speciale, come sono il giorno del ringraziamento negli Stati Uniti o i fuochi nella notte di San Giovanni in Scandinavia. La prima, forse l’unica torre di babele che noi italiani, una nazione antica quanto giovane, abbiamo edificato spontaneamente e collettivamente in poco più di 150 anni dell’unità d’Italia.”

Prima di chiudere due parole su Anastasio e Rancore, due che mi sono piaciuti di più: grande la loro potenza di stare sul palco e altrettanto grande la loro capacità di far arrivare un messaggio.

Chiudo ricordando anche il grande Tony Renis “reo” di avere scritto uno dei più grandi successi italiani nel mondo e al quale mando un affettuoso abbraccio.

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