523 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. E su Mogol l’articolo si potrebbe chiudere qui, con questo dato strabiliante che ha fortemente segnato l’industria discografica degli ultimi 60 anni e l’immaginario emotivo di tutti coloro che quei dischi li hanno comprati, stra suonati e consumati.
Mogol è il poeta della nostra vita musicale.
Un poeta libero, scevro da ogni condizionamento nella sua scrittura, un narratore di vita vissuta: quello il suo segreto, ci svela nella serata dal titolo fortemente evocativo “Mogol, L’Unesco e il Monferrato“, in apertura della manifestazione musicale AstiMusica (leggi articolo) di quest’anno.
“La gente – lui dice – ha bisogno di emozionarsi alle cose veri, di racconti in cui ritrovare le proprie avventure, gli amori, i dispiaceri, la bontà delle cose semplici e anche le difficoltà della quotidianità“.
C’è che Mogol, però, ha un modo unico di raccontarti la vita, come forse solo Lucio Dalla è riuscito a fare: “continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri“ della sua “I Giardini di Marzo” o tutto il meraviglioso testo di “Amarsi un po’“ o ancora “Io non so parlar d’amore, l’emozione non ha voce”, solo per citarne alcuni della sua immensa produzione, sono perle stilistiche e letterarie.
C’è la sua vita, la sua infanzia, ci sono i suoi ricordi nei testi delle canzoni: “Nessun dolore“ e “Prendila così”, per esempio, sono state scritte perché lui, in quel periodo storico, era veramente stato lasciato da una donna e ne descrive i tormenti e le difficili decisioni.
Questa la differenza tra chi è un vero autore di canzoni e chi fa semplicemente il “paroliere”:
“quest’ ultimo – secondo Mogol – si limita a fare una specie di settimana enigmistica con le parole, senza alcun sentimento“.
Le domande a lui rivolte durante la prima serata di AstiMusica, intervallate dalle sue canzoni suonate dalla band guidata da Ettore Diliberto delle Custodie Cautelari, con la voce di Mogol a fare da controcanto estemporaneo a quella solista, non sono bastate a raccontarci l’intero mondo dell’autore: troppe le curiosità da soddisfare e gli aneddoti da svelare di una vita intera e di una carriera sterminata e costellata di successi.
Mogol risponde ancora una volta alla domanda sul perché lui e Lucio Battisti venivano etichettati come “fascisti”:
“Erano tempi in cui si ragionava e si scriveva con la testa a sinistra e, se uscivi da questo modus operandi, venivi subito bollato come fascista o, peggio, qualunquista. Non ho mai sentito Lucio parlare di politica – ribadisce – e io ho sempre cercato di votare il meno peggio del momento“.
Anche sul talento ha le idee molto chiare (nella sua scuola di musica, il Cet-Centro Europeo Tuscolano, si sono diplomati 2800 allievi):
“Bisogna crescerlo e coltivarlo, studiare e continuare a farlo. Lucio Battisti conosceva ogni grande cantante, (padroneggiava la produzione dei Beatles a menadito, per esempio), si preparava, si informava”.
I talent televisivi sono solo spettacoli, non si possono definire scuole: “certi docenti meriterebbero di fare essi stessi gli allievi“, provoca Mogol.
Ma, aldilà delle parole, quello che preme a Mogol è veder cantare il pubblico presente e le sue canzoni senza tempo trascinano mani e voci in un coro di emozioni e di note cantate a squarciagola nella calda notte estiva.
“La canzone del sole” e “La compagnia” chiuderanno l’incontro con Mogol con la loro forza immaginifica e corale.