Il leghista Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania, ha fortemente chiesto di modificare i palinsesti radiofonici e puntare sulla musica nostrana: una canzone ogni tre deve essere italiana. A questa affermazione autarchica, si è accodato Al Bano dichiarando che “Almeno sette canzoni italiani ogni dieci”. Ma Al Bano a quale musica italiana sta pensando? Oltre che al “canto italico”, che lui rappresenta da decenni, ci sono ormai una marea di realtà musicali, dalla trap al rap, e negli anni passati la disco italica fino alla musica etnica nata da diverse contaminazioni.
E cosa dovremmo fare con cantanti come Mina e Rita Pavone, ormai entrambe svizzere, Ermal Meta e Anna Oxa, di origini albanese, Little Tony che era di San Marino? Il fatto che Mahmood abbia vinto Sanremo proprio quest’anno è una semplice casualità? Allora in passato con Malika Ayane e Romina Power cosa avremmo dovuto fare?
Se poi si approfondisce la questione, si scopre che non è nemmeno la prima volta che un’ipotesi del genere viene fatta. Infatti nel 2017 Dario Franceschini del PD aveva azzardato l’ipotesi di garantire il 20% della programmazione radiofonica agli artisti italiani. Cinque anni fa ci aveva provato il MEI a fare una raccolta firme per una possibilità di questo genere.
Questa regolamentazione viene fatta in Francia da decenni. Le loro radio sono obbligate a trasmettere musica francese per almeno il 40% della programmazione giornaliera. Diciamo che il mercato francese del disco è molto più esteso di quello italiano, con artisti che vendono in casa propria e poi in Lussemburgo, Belgio, Svizzera Francese e Canada. Un potere economico così forte, fa capire un’imposizione di questo genere.
Negli anni passati, la programmazione di molte radio italiane era molto proiettata particolarmente a favore di brani stranieri, sia di pregio che di dubbia qualità; le canzoni italiane in scaletta erano solo quelle dei grandi nomi, ma non in tutte le radio. Con il passare del tempo, anche nelle radio italiane si è vista un’inversione di tendenza; anche se ormai con le web radio e con le realtà tipo Spotify, anche il mondo delle radio “dedica e richiesta” sta ormai passando nel dimenticatoio.
Ma dietro le programmazioni ci sono forse i poteri forti delle case discografiche che spingono un artista piuttosto di un altro? Molti dicono di no, ma la cosa che fa veramente sorridere è che quando viene spinto un brano di un nuovo disco, tutte le radio sistematicamente fanno sentire quel brano e proprio tutte quello, nonostante in un disco ve ne sono minimo dieci… sarà proprio un caso, una pura coincidenza?
Ai giorni nostri la musica italiana via etere è praticamente intorno al 50% dei palinsesti. Lo scorso anno la canzone più trasmessa è stata “Non ti dico no” dei Boomdabash con Loredana Bertè. Nella top 20 dei brani più diffusi, ben 9 erano italiani. La classifica FIMI degli album più venduti nel 2018 parla chiaro: Sfera Ebbasta, Irama, Salmo, Maneskin, Capo Plaza, Ultimo, Benji & Fede, Gemitaiz e solo decimo uno “straniero”, Ed Sheeran. Nei singoli si parla ancora la nostra cara e vecchia lingua italiana, con Giusy Ferreri insieme a Takagi & Ketra con “Amore e capoeira”.
Bisognerebbe infine capire cosa si intende per “musica italiana”: si deve tenere conto della nazionalità degli autori? O dei cantanti? E se gli autori sono misti, oltre quale percentuale della canzone stessa si deve ritenere “italiana”? E se dovesse passare questa legge, a Radio Italia Solo Musica Italiana, dovrebbero iniziare a far sentire musica straniera, per restare nei parametri?
Non sarebbe più utile predisporre degli investimenti per sostenere il settore se lo si vuole davvero aiutare? Una idea sarebbe anche quella di abbassare l’Iva sia sui cd che sui libri. La cultura si diffonde meglio se è sostenuta con investimenti statali e se è economicamente più abbordabile… italiana e non!
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