Nel 2006, poco dopo l’uscita del loro debutto rivoluzionario (“Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not”), qualcuno – più di uno! – si chiese: “Ma chi cavolo sono queste scimmie artiche?”. La considerazione che presto prese forma faceva riferimento alla band più vitale e intelligente del momento. Nel 2009, con l’avvento del terzo album, “Humbug“, la risposta poteva essere leggermente cambiata, perchè dopo qualche esperienza approfondita il quartetto, originario di Sheffield, proponeva qualcosa di più maturo e, pur mantenendo l’energia tipica della gioventù, virava decisamente verso una nuova fase musicale.
Arrivati al 2013 – e al quinto e quasi perfetto album “AM” – si è arrivati ad una chiosa definitiva che asseriva semplicemente che gli Arctic Monkeys erano probabilmente una delle più importanti band al mondo.
Ora tutte queste certezze pare siano da rimettere in discussione e si sente dire: “Chi cavolo sono gli Arctic Monkeys che hanno realizzato “Tranquility Base Hotel & Casinò?”
Tra un po’ di tempo questo “episodio” potrebbe essere ricordato come il seguito di una nuova, sontuosa, fase di vita musicale, o come… l’inizio della fine. Onestamente mi pare difficile capire o prevedere il punto di arrivo.
Diciamo intanto che “Tranquility Base Hotel & Casinò?” è completamente differente da ciò che è stato fatto prima e tutto nasce da un regalo ricevuto da Alex Turner in occasione del suo 30esimo compleanno: un pianoforte Steinway Vertegrand.
E’ questo lo start ad una nuova creatività di Turner, perché è proprio attraverso il cadeau che si è innescata una nuova – diversa – vena autorale che lo ha portato ad allontanarsi in modo netto dai lavori pregressi, tanto che il disco potrebbe rappresentare una sorta di linea di confine tra il prima e il dopo.
In “TBH&C” raramente le chitarre si mettono in evidenza, se si fa eccezione per le note “grevi” che aprono “Golden Trunks” e alcune linee di basso in evidenza su “She Looks Like Fun” e “Four Out Of Five“.
Non è di per sé una critica, ma dopo i commenti universalmente plaudenti e iperbolici riversati su “AM” si capisce, forse, perché l’unica mossa conseguente della band poteva essere quella di fare un passo a lato, e anche se ciò inevitabilmente renderà parte dei fan infelici per la mancanza di brani come “Mardy Bum’s” o “Do I Wanna Know’s“, confrontare “TBH & C” con uno dei precedenti dischi della band appare esercizio inutile e irrispettoso di scelte che se ne infischiano degli onori guadagnati, forse semplicemente perchè in ballo c’è l’amore per la musica, e a nulla servirebbe il tentare di frenare le evoluzioni personali.
Questo album dovrebbe essere giudicato come un’entità separata – perché è così che i suoi 50 minuti di languida musica devono essere intesi – dove tutto appare cangiante, a partire dal ritmo; le tracce fluttuano una dopo l’altra, così come probabilmente le riflessioni e i flussi di coscienza di Turner, in movimento tra una realtà un pò scolorita e atmosfere auliche, prima di culminare nell’atteggiamento solenne di “The Ultracheese“, il brano conclusivo.
Tutti questi elementi contribuiscono nel creare un disco che è senza dubbio nuovo, inaspettato e concettualmente interessante.
E i significati?
Turner racconta nel brano di apertura, “Star Treatment“: “Volevo solo diventare uno dei The Strokes, ora guarda il casino che mi hai fatto fare“; subito dopo si addentra nel pianeta immaginario di Clavius delineato su “Four Out of Five” per poi dichiarare sul già citato “She Looks Like Fun”: “Sono così pieno di merda, ho bisogno di passare meno tempo in giro nei bar a parlare con estranei sulle Arti Marziali”.
Scritto e registrato in gran parte dal solo cantante nel suo studio di Los Angeles, è da considerare il frutto di un genio, oppure il lavoro di un uomo che cerca di svincolarsi da abiti che non gli appartengono più, utilizzando la sua maschera attuale, forse quella che avrebbe voluto usare da sempre.
Ma questo “dilemma” si ripropone ad ogni traccia: è davvero un lavoro fantastico o è solo interessante? Una volta superata la novità e l’intrigo, queste canzoni rimarranno e tornerà il bisogno di riascoltarle? Ed è qui che le cose iniziano a vacillare.
Ci sono momenti e sfaccettature davvero geniali disseminate in “Tranquility Base Hotel & Casino“, come la classica progressione di accordi di piano che sottende “One Point Perspective” o le armonie crooning in evidenza in “Four Out Of Five“.
Ma troppo spesso occorre impegnarsi per separare le canzoni l’una dall’altra. Ci sono pochi cambiamenti di ritmo e pochi mutamenti nell’umore generale, e appare faticoso afferrare immediatamente la trama, fatto inusitato per una band che ha scritto alcuni dei più grandi tormentoni dell’ultimo decennio.
In sintesi, un album che inizia a brillare solo dopo molteplici ascolti e quindi il consiglio è quello di avere un pò di tenacia e non lasciarsi scoraggiare… il pieno gradimento potrebbe arrivare.
Certo, non è meraviglioso imporsi un ascolto nella speranza che il piacere arrivi, soprattutto se si parla di una band che ha sempre facilitato la presa immediata suscitando in molti una… quasi devozione.
E allora… “Chi cavolo sono gli Arctic Monkeys?” Sembra che soltanto il tempo potrà darci sicure indicazioni!
TRACKLIST “Tranquility Base Hotel & Casinò?” – Arctic Monkeys
Star Treatment – (05:54)
One Point Perspective – (03:28)
American Sports – (02:38)
Tranquility Base Hotel & Casino – (03:32)
Golden Trunks – (02:53)
Four Out Of Five – (05:12)
The World’s First Ever Monster Truck Front Flip – (03:00)
Science Fiction – (03:05)
She Looks Like Fun – (03:02)
Batphone – (04:31)
The Ultracheese – (03:37)
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