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venerdì, Dicembre 8, 2023

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Levante, X Factor e un’intervista quasi Indie – INTERVISTA ESCLUSIVA

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di Stefano De Maco

Levante è un’artista balzata al grande pubblico televisivo come new entry tra i giudici di X Factor Italia, giunto all’11ma edizione. Il suo percorso e la sua storia artistica nascono e crescono nella galassia Indie, ossia quel territorio ricco di proposte che corre parallelo al mercato di massa, un territorio dove la creatività è vissuta come una scelta ontologica e sopratutto deontologica.

La freschezza e originalità di Levante è rimasta intatta nell’impatto con il pianeta X Factor. Anzi possiamo dire che il fatto che sia dietro il bancone è un fortissimo segnale. Il fenomeno Indie adesso non è più una nicchia, ma una alternativa, suggellando una transizione iniziata l’anno scorso con l’arrivo di Manuel Agnelli.

Abbiamo raggiunto Claudia Lagona (questo il suo vero nome) per approfondire con lei questo momento personale ed artistico.

levante


Ciao Claudia, grazie per questa intervista. So che sei in un periodo molto intenso. La prima domanda: come nasce il tuo nome d’arte?

Nasce come soprannome, nella mia vita da ragazzina, quindi niente a che a fare con l’arte. Era un’estate afosissima, in provincia di Catania, vivevo ancora in Sicilia. E nella noia totale di quell’agosto, un’amichetta scherzando mi chiamò Levante. Era un nome ispirato al personaggio principale del film di Leonardo Pieraccioni “il Ciclone”.

Questo soprannome me lo sono portato appresso per tutto il periodo successivo anche quando mi sono trasferita. Poi quando verso i 18 anni mi trovai a firmare il mio primo contratto discografico, il produttore mi chiese se avessi un nome d’arte, perchè effettivamente Claudia Lagona non suonava benissimo. Io ho risposto che un nome d’arte non ce l’avevo, ma che avevo questo soprannome che piacque a tutti.

E così Levante divenne il mio nome d’arte. Il bello è che il significato è il contrario del mio nome Claudia, che significa zoppicante, claudicante, mentre Levante è colui che si alza in piedi. L’ho trovata una casualità, ammesso che esita, molto bella e anche romantica.

Se dovessi riassumere in una parola gli ultimi tre anni, tra il tuo romanzo “Se non ti vedo non esisti” (edito da Rizzoli), il tour in America, i live e i Social, quale sceglieresti?

Sicuramente direi “stupefacente“, per rimanere in tema con l’ultimo disco. Ho fatto la classica vecchia gavetta, un percorso che appartiene ad una musica che oggi conosce poco queste strade. I palchi televisivi attraggono più di un palco in un club.

 

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Crediti Foto Foto Kimberley Ross

E’ significativo che in un programma televisivo di punta come X Factor arrivi un’artista come te, con un percorso di gavetta. Sintomatico, direi.

Ti ringrazio, devo ammettere che rispetto ai classici cantautori degli anni ’90, il mio vantaggio sono stati i Social, allora inesistenti. E tanto Live. Benché di musica non si campa facilmente. Se “Alfonso” fosse uscito nel 2000, ti parlerei da una casa che mi sarei comprata con i ricavi delle vendite che all’epoca si facevano (ride NdA).

In quanto siciliana, l’accostamento a Carmen Consoli appare immediato, non trovi?

Assolutamente sì. E lo trovo un grandissimo onore perché sono cresciuta anche ascoltando Carmen, ovviamente le mie radici sono quelle. Non solo geografiche, ma anche musicali. L’accostamento è facile e ne vado molto fiera. Vengo da quella scuola.

Ho incontrato Carmen mesi fa e lei mi ha detto che nutre molta stima nei miei confronti (il che mi ha reso ovviamente felicissima) ma significa che c’è un fil Rouge tra le nostre generazioni.

Sono le persone che mettono barriere nella musica, la musica invece è fluida, no?

Sì sono assolutamente d’accordo.

Vuoi ricordare l’esperienza del tuo tour in America?

È stato bellissimo, siamo andati principalmente per partecipare al festival South by Southwest (SXSW), nel mese di marzo del 2015. Io cantavo in italiano, perché credo sia importante diffondere la nostra cultura per il mondo.

C’è una fame di cultura italiana in America notevole, dalla cucina alla letteratura alla musica.

Verissimo, e poi ti ascoltano con attenzione, non con lo sguardo inebetito di chi non capisce ciò che sente, ma con una forte curiosità e rispetto. Per loro siamo molto esotici. Come per noi possono esserlo i Portoghesi quando cantano nella loro lingua. Lo stesso vale per noi all’estero, quando sentono questa musica e questa lingua particolarissima.

Non sono più i tempi in cui la musica italiana veniva accostata solo alle melodie classiche napoletane, giusto?

Sì, i tempi si sono evoluti, molto altro si è aggiunto a quel patrimonio indiscusso. Poi, da quel festival, ci siamo spostati a Los Angeles, dove abbiamo suonato in un piccolo teatrino alle spalle di un ristorante cinese, che mi faceva troppo ridere. Poi a New York, in un attico nell’East Village, molto bello. L’abitudine di usare location insolite è molto diffusa, come appunto appartamenti, loft, spazi non espressamente dedicati alla musica. Anche negli hotel, è sopratutto un altro approccio alla musica.

 

levante
Crediti Foto Mathias Marchioni

Secondo te quanto siamo indietro in questo approccio nel “performing”?

Credo una decina d’anni. Ora noi siamo fissati molto con l’elettronica, lì lo facevano giusto 10 anni fa. Ognuno ha i suoi tempi (ahahahhaha). Va anche detto che noi metabolizziamo le cose in un modo differente. Siamo molto legati al concetto melodico della Musica. Il che è molto distante dalla loro cultura musicale e linguaggio.

Leggo che tra le tue influenze citi Mina e Alanis Morissete, ovvero un oceano non solo geografico.

Diciamo che io ho sempre detto che i miei riferimenti musicali sono tanti, ma sopratutto queste figure di donne dalla forte personalità, appunto Alanis, ma anche Carmen, Janis Joplin, Meg, Cristina Donà, e tra queste c’è anche Mina ovviamente, pensando a tutto un mondo di tecnica e interpretazione.

Mina però, tra tutte queste Artiste che citi, è l’unica ad essere una Interprete pura (direi magistrale), non avendo mai scritto per sè.

Esatto, parlo di una donna che è riuscita a fare sue delle cose che non aveva scritto, stabilendo uno standard. Quindi una forza interpretativa incredibile, che per me è importante. Anche perché quando salgo sul palco non mi sento la classica cantautrice che esegue i suoi brani e basta. Cerco sempre di interpretare ciò che ho scritto, sono molto teatrale sul palco, e Mina è fonte di ispirazione anche per questo.

Come hai trovato e scelto i tuoi collaboratori e quanto incidono nella qualità del tuo lavoro?

Sicuramente incidono tanto. Fino al mio penultimo disco lavoravo chiusa nella mia stanzetta, e poi andavo dal produttore. Nel caso dell’ultimo disco “Nel caos di stanze stupefacenti” ho fatto entrare Dario Faini che ha collaborato con me sul lato armonico. Lui ascoltava i miei provini e ha provato ad addolcirli, levigarli secondo una prospettiva armonica più elaborata. Questo è stato importante, perché al di là che si cresce passo dopo passo, Dario ha reso il mio linguaggio un po’ più accessibile.

La differenza terminologica e culturale tra Indie e Pop ha ancora un senso oppure no?

Dipende, se quando parliamo di Indie parliamo di un genere musicale o parliamo di un’attitudine. “L’attitudine” sicuramente esiste ancora, il mondo indipendente c’è e pulsa, è anche un percorso alternativo, che poi è quello che ho fatto io.

Anche la mia discografica non è una major, la Carosello, e quella ancora prima (INRI, Il Nuovo Rumore Italiano) era molto piccola. Se invece parliamo di “genere” tutto diventa relativo, per me il nome lo portano ancora alto i Radiohead, che lo hanno inventato. In Italia mi vengono in mente gli Afterhours (la band di Manuel Agnelli, NdA), ma stiamo parlando degli anni ’90. Ora non esiste più, o almeno esiste perché esistono ancora gruppi come questi che lo portano avanti.

Quindi è stato emozionante incontrare in questa esperienza di XFactor, un artista come Manuel?

Sì!!! All’inizio ero stranita quando lui accettò di far parte di questa cosa, adesso mi rendo conto di cosa implica e significa: é un messaggio molto forte, come dice sempre anche lui, il fatto che X Factor si apra a nuovi linguaggi, esperienze, sonorità, che non appartengono alle tradizioni classiche della televisione. La testimonianza di Manuel è fondamentale, e la mia è anche diversa, sebbene arriviamo da un percorso simile, quello degli indipendenti. Però è importante che ci siano e abbiano una grande visibilità non più solo di nicchia.

levante

Entriamo nel vivo di XFactor: che sensazioni da stare dietro al banco della giuria?

Da un lato mi responsabilizza verso i ragazzi che ho di fronte, dall’altro mi fa sentire sollevata, perché io non avevo mai voluto partecipare. Non me la sentivo di essere giudicata in una manciata di minuti. Ho voluto spesso rimanere fuori dai riflettori anche per questo, per il tipo di musica che scrivevo e cantavo, e che faccio tutt’ora, una musica che faccio per me. Poi sono anche molto contenta che molto si rispecchino in ciò che propongo. Comunque, salire su un palco come X Factor richiede davvero molto coraggio, perché te la rischi in poco tempo. Stare dietro il banco per me è sicuramente più rasserenante, direi più semplice emotivamente. Ma assolutamente non è facile.

Il rapporto con i tuoi colleghi, visti i percorsi differenti, sopratutto tra te e Mara e Fedez?

Secondo me, ognuno di coloro che siede a quel banco, bene o male si è fatto le ossa. Questo ci rende simili. Gli obiettivi e le visioni possono essere differenti, loro hanno una visione più commerciale della musica, inteso come gusti e preferenza del pubblico. Hanno esperienza nei criteri di vendibilità. In ogni caso, davanti al talento, a qualcosa di bello, siamo tutti d’accordo. Ci sono delle verità oggettive che sono trasversali. Finora non è stato difficile lavorare con loro, vedremo ora con i Live, quando ognuno tirerà fuori le unghie.

Un po’ di competitività fa anche bene però no?

Sì, certamente

Come ti trovi in questa ribalta mediatica?

Mi sento molto protetta, mi sento affezionata a tutti, fa parte del mio carattere. Ho la capacità di scovare il lato morbido anche nelle persone più ostiche. Credo che tutti abbiano qualcosa di bello. Sono super affezionata a Mara, me la abbraccio continuamente. Manuel, è impossibile non volergli bene, oltretutto sono una sua grande fan. Federico, ha un carattere scontroso, all’apparenza però. Sembra impossibile averci un rapporto sereno. Sta molto sulla difensiva.

Forse perchè non gli si perdona il successo che ha? Non saprei, ma con lui sono riuscita a superare le sue difese, abbracciando il suo lato emotivo più tenero.

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L’uso dei Social come strumento della tua promozione quanto è stato importante e sopratutto efficace?

Allora, a me ha salvato il narcisismo. Da Facebook mi sono allontanata un po’ recentemente perché sta diventando troppo volgare e inferocito, preferisco molto Instagram, anche perché mi piace molto fotografaremi piace il bello. E questo ha attirato l’attenzione. Le immagini sono immediate e raccontano molto. E adesso Instagram è diventato una forza, e attraverso di esso riesco a far arrivare anche la mia musica.

E gli altri canali, come Youtube, Soundcloud?

Non li utilizzo, perché se non mi appassiona, non m interessa. Non sono una Youtuber, non sono una nativa digitale. Sono nata con le musicassette, che si arrotolavano con la matita. Io sono nata a cavallo di una transizione. E questo influisce sul modo di comunicare. Sento la differenza tra chi è Millenials e la mia generazione, o quelle precedenti. Con mia sorella, ad esempio, che è più grande di me, ho più affinità che con i giovani Millenials.

L’abitudine alla comunicazione digitale dei Millenials, spesso a scapito di quella verbale, è un vantaggio o uno svantaggio?

Non ti saprei dire, non voglio fare la vecchia che dice “non ci sono più i giovani di una volta”, oppure “quando eravamo giovani noi era meglio”. Non voglio dire questo. I tempi cambiano, e bisogna adeguarsi. Sicuramente per loro è un vantaggio il fatto che si sentano a proprio agio in queste nuove modalità di comunicazioni. Mi spiacerebbe se perdessero però la capacità dei contatti umani e reali. Che sono poi la base di tutto. Se no diventiamo dei computer, e sarebbe finita.

Che consigli daresti ad un Artista emergente circa l’uso (o abuso) di questi canali Social? devono essere più imprenditori o cosa?

No, assolutamente. Sicuramente essere lo specchio dei tempi è giusto, riuscire a comunicare coi mezzi a disposizione è corretto. Però il mio consiglio più grande è quello di sbucciarsi le ginocchia, di andare per strada a vedere come funzionano davvero certe cose, e poi utilizzare anche questi canali o altri che ti permettono di arrivare in maniera più immediata.
Conquistarsi le cose col sudore comporta il “sangue alle ginocchia”, che è importante.

Quanto può essere utile oggi appoggiarsi ad un team di persone, una web agency

Ci sono molte più figure importanti per un artista rispetto al passato, dal Booker, al Social Media Manager, oltre ai classici Manager e Discografico. Tutti ruotano intorno all’artista e al Progetto. Per quello che mi riguarda, per esempio è che io non ho un Social media Manager. Se sei davvero un’artista, se hai davvero qualcosa da raccontare, è bene che non ci siano troppi intermediari tra te e chi ti ascolta. Va bene per tutto ciò che riguarda l’organizzazione, però nella comunicazione mi auguro che ci sia sempre più sincerità tra l’artista e il suo pubblico.

I numeri sono aridi? Certo, sono le persone che contano e quello che provano. Tu puoi anche avere un milione di followers su Instagram o Youtube, ma poi se non fai live tutto questo non ti serve a niente.

 

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Crediti Foto Sergione Infuso

Quanto è importante la parte Visual nella tua performance live?

Quest’anno abbiamo avuto la fortuna di avere una produzione un po’ più grande che ci ha permesso di avere più mezzi. Ledwall e regia che permettono di sviluppare meglio l’interazione tra musica e parole, visioni. Ogni brano poteva avere spazio e concetto. Sono stata molto contenta perché penso sempre che la gente debba avere qualità anche nei contenuti, voglio dare il meglio. Le copertine invece le curo io, perché per ogni disco ho sempre pensato ad un concept album, e come tale è come se ci fosse una piccola storia. Un po’ come si faceva negli anni ’70. L’ho sempre fatta perché ogni lavoro ha una parte di te, e quella parte deve avere anche un volto. Quindi per ogni copertina ho scelto dei simboli. Nel primo disco indosso l’abito da sposa di mia madre, sono seduta su una scala di legno, appoggiata sul muro sulla terrazza di casa mia, dove è mancato mio padre. C’è tutto un mondo di infanzia e adolescenza.

Una radice che ritorna sempre?

Sì, sempre. Nella copertina del secondo disco sono seduta su un cervello che pugnalo con la mano destra e con la sinistra invece salvo un cuore, in una stanza molto onirica. Nel terzo disco sono una ragazza caduta dalla poltrona che si confronta col proprio riflesso, dentro lo specchio. L’immagine deve sempre raccontare cosa c’è dentro. Perché l’immagine va oltre la parola, non ha bisogno di traduzione. ed è anche questa la forza di Instagram.

levante

Vista la tua esperienza di scrittrice, come ti vedi fra 5 anni? musica o letteratura?

Bella domanda (ride) sicuramente la mia creatività letteraria non finisce con “Se non ti vedo non esisti” (Rizzoli Editore NdA). In realtà ho già voglia di scrivere un secondo romanzo. Fra 5 anni mi vedo sicuramente ancora sui palchi, vorrò spingere entrambe le attività.

Te lo auguro di cuore, e ti ringrazio per la tua simpatia e disponibilità. In bocca al lupo!

Grazie mille a te. Viva il lupo!

https://www.facebook.com/xfactoritalia/videos/1720163521335301/

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