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sabato, Marzo 25, 2023

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Nuove classifiche di vendita con ascolti Streaming – Ma le classifiche di vendita rappresentano ancora i consumi musicali?

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di Luigi Calivà

Qualche giorno fa abbiamo assistito ad una stucchevole querelle sui giornali e sulla rete sulle nuove classifiche di vendita che ormai non rilevano più le vendite ma gli ascolti streaming che cominciano ad essere predominanti sulle vendite e sul download.

Lo streaming è entrato prepotentemente nei rilevamenti delle TOP Of THE MUSIC

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Il comunicato Fimi

Dal 7 luglio i dati degli stream audio rilevati da GfK Retail and Technology Italia sono già inclusi nei singoli, e il metodo sarà lo stesso per gli album: una “conversion rate”: 130 stream equivalgono ad un download.

Nel caso degli album, considerati da 10 tracce, 1300 stream equivalgono al download o all’acquisto di un album. Con alcuni metodi di correzione: una singola canzone non può contare più del 70% (quindi 1300 stream di un singolo non possono essere equiparati ad album intero: dopo i 700 non vengono più conteggiati).

Ci sarà anche un secondo tetto, di 10 ascolti al giorno per utente per canzone; inoltre le canzoni verranno conteggiate come stream dopo almeno 30” di ascolto (e conseguentemente sono esclusi dai conteggi i brani con durata inferiore).

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Ora io sono un ragazzetto nato alla fine degli anni ’50 e quindi ho assistito a tutte le fasi delle classifiche di vendita, a partire dalla mitica Hit Parade di Lelio Luttazzi, dove un ingresso in classifica oltre a certificare il successo di un 45 giri o di un Lp, era un ulteriore strumento di marketing che da solo moltiplicava la settimana successiva le vendite.

Poi l’ingresso in classifica veniva immediatamente usato dai guru della promozione, ed era il solo e valido biglietto di ingresso nei vari programmi televisivi. Risultato: dopo due o tre settimane le vendite che avevano consentito l’ingresso in classifica raddoppiavano, ed in alcuni casi di grande successo triplicavano.

Non si andava al Festival di Sanremo tra i giovani se non avevi avuto un ingresso in classifica, era impensabile tra i Big se non avevi alle spalle una carriera, idem per gli altri festival, come il Disco Per l’Estate, Il Cantagiro, il Festivalbar, e così via.

I meccanismi di rilevamento delle classifiche di vendita sono sempre stati nell’occhio del ciclone, ma in presenza di prodotto fisico, a parte certe forzature, rispecchiavano i dischi in uscita dai magazzini e in uscita dai negozi.

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Se non avevi una distribuzione capillare difficilmente entravi in classifica.

Indovinate chi garantiva una distribuzione capillare? Naturalmente solo le major avevano il potere la rete e gli uomini (rappresentanti) per distribuire capillarmente un prodotto discografico.

Sono anni ormai che le classifiche di vendita non rappresentano più uno strumento di marketing ma solo una rilevazione di andamenti generalizzati e difficili da verificare, il download, lo streaming come li controlli, per avvantaggiare l’uno rispetto ad un altro disco o artista basta ritardare di un giorno i flussi di dati ed il gioco è fatto.

Il cumulo tra download, streaming e prodotto fisico è un esercizio statistico sicuramente fattibile ma un poco complicato. Ditemi se avete capito qualcosa dal comunicato stampa su come vengono calcolati gli streaming rispetto le vendite.

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Aggiungo un altro problema: le major creano delle playlist su Spotify e su altri siti di streaming, inserendo ciò che ritengono utile per loro fare ascoltare (questo è ascolto consapevole, è una scelta dell’utente?). Essendo lo streaming in Italia un mistero, si sa solo che cresce ma non si sa quanto sia il gratuito e quanto sia in abbonamento, si rischia di creare un ulteriore elemento di disparità tra major e indie che non hanno playlist proprie.

Perché è importante ciò che è gratis e ciò che è in abbonamento?

Perché a questo punto esistono altri strumenti di fruizione e di ascolto di musica in Italia che generano proventi economici notevoli, e non sono da poco, YouTube con i suoi milioni di visualizzazioni (e relativi proventi economici) e la Radio con i suoi milioni di ascoltatori (e relativi proventi economici).

Allora perché non inserire anche i loro dati nelle classifiche di vendita? Non sono come lo streaming?

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Forse è troppo, o forse no perché i due canali sono difficilmente controllabili dalle major discografiche?

Resteremo con questo dubbio e con le altre polemiche sulle certificazioni (dischi d’oro e di platino) tra major e indie, visto che in queste certificazioni di “vendita” dal 7 luglio ci sono anche i dati di Spotify, Deezer e Apple Music.

La musica è bella perché è varia, come le polemiche che l’accompagnano da sempre.

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