Vasco Rossi è stato celebrato e il suo Modena Park, l’evento live che festeggia i 40 anni di carriera discografica del rocker di Zocca, si è appena concluso.
A caldo penso che possiamo davvero calare il sipario di tutti i teatri, possiamo abbassare il volume di tutte le radio e spegnere tutti i canali delle TV: credo sia davvero difficile per la musica italiana continuare incurante di quanto abbiamo visto ieri.
Il problema non è confrontarsi con i numeri impressionanti che questo evento ha fatto (ve ne abbiamo parlato qui): più di 220.000 spettatori paganti, 10.000 spettatori alla prova generale, 100,000 spettatori nei 197 cinema e nei palazzetti, e per finire 6 milioni di telespettatori davanti la diretta RaiTV.
Ma non è una pura questione di ritorno di pubblico o economico. Quello che davvero ci deve sconvolgere è che ogni nota e ogni parola di questo concerto è scolpita indelebilmente nell’anima e sulla pelle di ogni italiano. Inutile il tentativo puerile di chi contesta sui social la grandezza di Vasco e l’importanza di questo evento: davvero pensate di fermare col vostro spillo di presunzione quell’oceano infinito di carisma, di genio e di perfezione artistica che il buon Dio ha voluto far nascere a Zocca?
Occorrerebbe davvero interrogarsi su quale sia il motivo di un successo dalle dimensioni mai viste. E magari applicarlo al resto della musica, se possibile ovviamente.
Intanto noi amanti della musica dobbiamo soltanto essere grati a Vasco Rossi. E i motivi ve li abbiamo già evidenziati con le splendide parole di Alberto Salerno (leggi qui).
A me oggi spetta il compito di provare a raccontarvi, umilmente, cosa è stato vivere questa apoteosi seduti al cinema. Ci proverò, cercando di superare il panico che provo a riportarvi un’esperienza più grande di me, sperando di contenere la valanga straripante di emozioni che ho provato e soprattutto cosciente che questo articolo sarà, nel migliore dei casi, indegnamente insufficiente.
Come milioni di italiani ho provato a comprare i biglietti per questo evento. Sarebbe stato il mio diciottesimo concerto. Il primo è stato il Liberi Liberi tour, 1989 (ero un neopatentato), nella tappa di Partinico in provincia di Palermo. Amavo già Vasco da almeno sei anni ma allora non si usava che i minorenni andassero ai concerti accompagnati di genitori per cui dovetti attendere la maggiore età.
Ma c’era anche un altro motivo per cui tenevo davvero a non perdere questo evento: proprio ieri 1 luglio mia moglie ha soffiato le sue prime quaranta candeline. Quale regalo migliore?
Niente… non ci sono riuscito e non ho avuto altra scelta che ripiegare sulla diretta al cinema. Almeno questo mi è riuscito.
Eccoci quindi all’UciCinemas di Assago (Milano), sala 5, fila 3. Io, mia moglie e mia figlia. La sala è stracolma (ma va?) e non è l’unica sala di questo cinema in cui si proietta il concerto.
Ci sediamo e troviamo il collegamento dal retropalco condotto in collaborazione da Radio Italia e RDS, unite ancora una volta anche per questa diretta. Bravi, non era facile riscaldare e coinvolgere il pubblico della sala cinematografica.
Si fanno in fretta le 20.55… e ora spazio all’unico vero protagonista: il Modena Park!
Le telecamere ci presentano la folla oceanica, magmatica, apparentemente immobile eppure pulsante come un organismo da 220 mila cellule: sono migliaia di cuori che battono all’unisono. Il colpo d’occhio è devastante: il palco è immenso. Scioccanti le gru sullo sfondo a sostenere quella pila di altoparlanti. La distesa umana è una galassia di anime. Si resta semplicemente a bocca aperta e senza parole.
Alle 21, puntuali all’inverosimile, inizia il concerto. Le note iniziali di “Also sprach Zarathustra” perfetta per sancire, con questo evento, la nascita di una nuova era per la musica italiana prospettando, proprio come in “2001 Space Odissey”, una unica soluzione possibile: ricostruire la musica partendo dalla necessità primordiale di esistere.
In sala al boato iniziale segue un silenzio sacrale.
Arriva Colpa d’Alfredo, e non poteva essere diversamente: “Abito fuori Modena, Modena Park!!!”. Immagino che per chi non era al cinema potrebbe apparire impossibile ma sono state sufficienti pochissime note per abbattere le pareti del cinema e catapultarci in unico abbraccio di queste 300 mila persone.
L’audio è fantastico, credetemi. Missaggio, spazializzazione dei suoni, equalizzazione, dinamiche, effetti. Tutto sublime: un lavoro di regia audio mostruoso. Il suono è solido, tattile, capace di trasmetterci anche le vibrazioni del terreno di Modena.
Seconda canzone: Alibi. In sala è il delirio. Del resto questa canzone è uno schiaffo in faccia a chi afferma che Vasco scriva solo a monosillabi. Scusate la digressione: ma quale altro autore saprebbe rendere credibili frasi come “Vorrei un etto e mezzo di prosciutto e un po’ di cipolline” seguito quasi a ruota da “scusi non ho il resto […] le dò anche quattrocento caramelle. In cartone? No… sciolte!”.
Tutti cantano e Vasco offre in questo brano è pazzesco: non tanto per l’ironia del brano e per le vocine ma soprattutto per il senso del tempo con cui canta questo brano ricco di attacchi fuori tempo. Senza sbagliarne uno. Ma come si concepisce un brano così?
Segue “La combriccola del Blasco”. Ovviamente in sala ogni pudore è ormai caduto. Si balla ovunque: sul posto, davanti la prima fila, sulle scale. E si canta a squarciagola. Un’unica voce che si somma a quella che arriva dall’audio della diretta. Vi garantisco che la sensazione è ormai quella del live e davvero ci si dimentica di essere al cinema. Siamo davvero anche noi dentro lo spettacolo, dentro l’evento, dentro la storia.
Ovviamente non posso farvi la cronaca del concerto canzone per canzone. Provate anche solo a immaginare cosa significa una scaletta del genere, dove non c’è una canzone che non sia un successo. E tutto un susseguirsi di canti, di balli e di sogni:
- Colpa d’Alfredo
- Alibi
- La combriccola del Blasco
- Bollicine
- Ogni volta
- Jenny e pazza / Silvia / La nostra relazione / Anima fragile (al pianoforte Gaetano Curreri)
- Una splendida giornata
- Ieri ho sgozzato mio figlio
- Delusa (con inserti di T’immagini, Mi piaci perché e Gioca con me)
- Stasera
- Sono ancora in coma
- Rock&Roll show
- Ultimo domicilio conosciuto
- Assolo di Maurizio Solieri
- Vivere una favola
- Non mi va
- Cosa vuoi da me
- Siamo soli
- Come nelle favole
- Vivere
- Sono innocente ma
- Rewind
- Liberi Liberi
- Assolo di Andrea Braido
- Ed il tempo intanto crea eroi
- Una canzone per te
- L’una per te
- Ridere di te
- Va bene così
- Senza parole
- Stupendo
- Gli spari sopra
- Sballi ravvicinati del terzo tipo
- C’è chi dice no
- Un mondo migliore
- I soliti
- Sally
- Un senso
- Siamo solo noi
- Vita spericolata
- Canzone
- Albachiara (con Gaetano Curreri al piano e con Maurizio Solieri e Andrea Braido)
Bellissima la scelta di non avere “ospiti” ma veri e significativi amici sul palco: ecco salire quindi Gaetano Curreri, Maurizio Solieri e Andrea Braido. Tutti sappiamo l’importanza di questi artisti per Vasco.
Gaetano Curreri, cantante degli Stadio (ma non potete non saperlo) ha scritto tantissimi con Vasco, brani che è pure pleonastico citare qui. Maurizio Solieri ha inventato il sound di Vasco generando perle indimenticabili con la sua chitarra. Andrea Braido ha traghettato la musica di Vasco nel mito suonando in quei concerti da cui è nato “Fronte del Palco”. Senza fermarsi lì, ovviamente… Ma che sto a dirvi, tanto sappiamo tutti di cosa parliamo.
La regia di Giuseppe Pepsy Romanoff Romano è stata davvero fantastica: certo al cinema mancano i profumi del concerto e il calore dei corpi, manca la complicità di migliaia di sguardi, manca l’estasi del sentirti parte di quell’unico corpo. Ma c’era il sudore dei tecnici, le urla del pubblico, lo stupore dei musicisti e le emozioni di Vasco offerte a noi, pronte per essere toccate. E poi c’erano le nostre lacrime, il nostro trasporto, le nostre urla assordanti nei cori, c’era la voce unanime di quell’unico canto. No, vi prego credetemi: non è stato un videoclip, ma una breccia verso il palco. Una sorta di Colonnato del Bernini fatto di ventitré telecamere.
Un esempio su tutto. La scelta di far cantare Vasco con lo sguardo fisso in camera, in primissimo piano, spalle al pubblico, simulando una diretta Facebook durante “I soliti” è stato un regalo inaspettato: in sala ci siamo sentiti cercati e fortemente voluti, leggendo con chiarezza nella profondità del suo sguardo di Vasco (e sono certo tutti i 100 mila nei cinema sono d’accordo con me) un lunghissimo istante di gratitudine.
Potrei dirvi mille cose, parlarvi delle luci, delle riprese, delle immagini video sullo sfondo, degli arrangiamenti talvolta pop, molto spesso rock, talvolta ancora intimo e unplugged. Potrei raccontarvi e commentare mille aspetti. Ma a che vale cercare parole per descrivere l’inesprimibile? L’arte, quella vera, si sperimenta. È questo evento è stato Arte nella sua espressione suprema. Cercatelo, vedetelo!
Il concerto è finito alle 00:31. Precisiamo: allo scoccare del minuto 31 il batterista ha staccato il finale di Albachiara. Ben tre ore e mezza ininterrotte di successi, di brani senza tempo, di canzoni cantate all’unisono senza sbagliare una sola una parola. Tre ore e mezza di parole autentiche, che sgorgano davvero da una vita vissuta e che davvero si fanno carne. Parole che in molti portano, senza metafora, sulla pelle in mille tatuaggi.
Ma soprattutto sono state tre ore e mezza di musica suonata da tutto il pubblico con i gesti, con le espressioni, con le braccia, sottolineando tutti gli arrangiamenti e cantando ogni assolto di ogni strumento. Ditemi se tutto ciò non è trascendente, se non è divino!
La misura dell’enormità di questo evento ce l’hanno confermata anche loro: Claudio Golinelli (il basso), Alberto Rocchetti (le tastiere), Vince Pastano (la chitarra), Matt Laug (la batteria), Andrea Innesto (i sax), Frank Semola (la tromba e non solo), Clara Moroni (i cori), Stef Burns (la chitarra solista) e soprattutto Guido Elmi (direzione artistica). Tutti sul palco a fine concerto, durante i fuochi d’artificio, abbracciati a dirsi “ma davvero abbiamo fatto tutto questo?”.
Vi lascio con le parole di mia figlia, sette anni. “Papà, al prossimo concerto di Vasco ci andiamo a vederlo dal vivo? Questa sì che è musica!”
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