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venerdì, Luglio 26, 2024

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Le canzoni della mia generazione: Freddie Mercury

di Gianfranco Giacomo D’Amato

Cosa si può dire di un artista immortale su cui è stato scritto già tutto per quarant’anni?

C’è chi lo ricorda nel pieno della sua forza artistica, padrone assoluto dei palcoscenici davanti a folle oceaniche in adorazione. C’è chi lo ricorda invece alla fine della sua esistenza travolgente, in quel giorno tremendo del novembre 1991 in cui dichiarò al mondo la sua malattia. Era il penultimo giorno della sua vita, lunga appena 45 anni. Il suo testamento artistico fu una canzone scritta quando sapeva già che il suo destino era segnato: “Show must go on“. Milioni di fan l’ ascoltarono quando lui se n’era già andato, tristi ed increduli pensando alla terribile sorte del loro idolo e a quello che avrebbe ancora potuto dare alla musica.

Farrokh Bulsara era nato a Zanzibar nel 1946 da genitori indiani. Diventò Freddie Mercury 24 anni dopo, quando diede vita ai Queen. E’ stato, secondo me, uno dei più grandi geni musicali della sua epoca: autore, interprete, show-man, trascinatore di generazioni di ragazzi in tutto il mondo.

Freddie e i Queen sono uno dei simboli di un’epoca musicale che non c’è più. Eppure nella mente di tanti fan l’immagine più adatta a ricordare la loro musica risale a quando Freddie era già scomparso. Per l’esattezza a cinque mesi dopo.

E’ quella di un evento organizzato proprio per celebrare la grande rock-star: Wembley 20 aprile 1992. I 72.000 biglietti furono venduti in quattro ore, ma solo perchè non c’era ancora internet.
C’era l’emozione della scomparsa del grande artista, c’era il suo gruppo al completo, c’era la guest star George Michael. Quest’ultimo invitò nel corso del concerto i giovani a stare attenti a quella malattia tremenda e allora incurabile che avrebbe portato via un anno dopo anche il più celebre ballerino di tutti i tempi, Rudolf Nureyev, compagno di Freddy secondo una biografia molto discussa uscita dopo la morte di entrambi.

Il pezzo clou in quella notte a Wembley fu “Somebody to love“. L’interpretazione di George Michael fu fantastica, ne sarebbe stato orgoglioso anche il suo amico Freddie. Più che una canzone, un inno. Un inno al talento, ad una vita spesa per la musica, da lanciare su uno stadio enorme e gremito e in mondovisione a tutti. Direi che il finale di “Somebody to love” in quel concerto è da consegnare ai posteri come esempio di eccellenza che quell’epoca musicale è riuscita a esprimere.

In quanto a Freddie, dopo la sua scomparsa lo spettacolo ovviamente è continuato, ma lui non ha mai smesso di esserne il protagonista.

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