Pare sia una fase del processo di costruzione di un artista, che inizia da giovane e prosegue nelle fasi della sua maturità ed ha a che fare con la “parola” più che con la “lingua”.
Le riflessioni che seguono partono dall’ipotesi, temeraria ahimè, che il mood del nuovo album di Marco Mengoni “Le cose che non ho”, ideato come seguito alla prima parte del suo “Parole in circolo” ed in uscita il 4 dicembre prossimo, sia desumibile dall’ascolto delle prime due tracce rese pubbliche, in particolare la prima: “Ti ho voluto bene veramente“, “Resti indifferente“.
Per quanto l’ipotesi sia audace, credo non sia possibile non rilevare immediatamente un cambiamento di intenzione e di stile. Non cambiamento radicale, sia chiaro, perché i semi di questa “rivoluzione cantautorale” erano presenti anche nella prima parte dell’album, anzi alcune caratteristiche, in particolare strumentali e melodiche, riaffiorano segnalando una continuità ed anche, in alcuni momenti, una contiguità.
Nell’interprete da giovane, che si accinge ad esplorare la sua vita di uomo ed artista, c’è sempre stata una coesistenza di istanze varie ed anche contrastanti, spesso anche criticate, per cui la sua scelta attuale sia , credo, quella di porre l’accento di volta in volta su situazioni e momenti all’interno di un percorso esistenziale ed artistico in costante divenire che non offre dunque soluzioni di continuità bensì sfaccettature diverse di percorsi mutabili.
L’attuale voluta dominanza delle parole si inserisce proprio in questa visione che si autodefinisce in evoluzione. E è nella “parola” che succede che … I pensieri fluiscono, si affollano, le parole li rincorrono, si avvicendano, rotolano in un continuum vocale, le emozioni si addensano e si intersecano, le note si susseguono, la musica si adegua, scivola , si impenna e poi si apre, il ritmo iniziale quasi liquido si rafforza per dar voce alla solidità di un’affermazione che non si offre a smentite, l’accompagnamento musicale si fa ridondante, pieno , complesso.
Il tempo verbale fluisce anch’esso a designare un presente in cui il passato è contestuale. Non ci sono cesure, il tutto scorre come librandosi su un immaginario tappeto volante che compie il suo viaggio cavalcando nuvole. Nuvole che possono aprirsi al temporale ma anche dissolversi all’alba di un nuovo mattino.
La voce, quella voce capace di sondare nel profondo tutte le innumerevoli sfumature dell’umana sensibilità, scorre anch’essa sicura su tutte le curve sonore e verbali e si dipana avvolgendo come una calda coperta tutti i viaggiatori che hanno intrapreso lo stesso viaggio.
C’era un giovane James (ndr James Joyce , romanziere inglese autore di un’opera giovanile A portrait of the artist as a young man e in seguito, tra tanti altri lavori, di Ulysses) che da racconti sui personaggi e gli ambienti della sua adolescenza, connotati dalla ricerca di illuminazioni esistenziali e di protagonisti simbolici ed allegorici, arriva come per spontanea esigenza alla voglia di dilatare il tempo narrativo per dar voce a pensieri e voci che contemporaneamente si affollano nella sua coscienza.
Un tempo in cui un micro universo interiore si rivela più denso di un macro universo, sia pur intriso di genuino, ardente e giovanile desiderio di eroismo e di coordinate supreme. Anche perché quest’ultimo continua a fornirne al primo sostanza ed alimento. Ed è così che da costruzioni verbali logicamente definite e temporalmente ordinate si passa ad un linguaggio che si sveste di tutte le forme precostituite nella tensione verso il denudamento libero e totale della propria sensibilità.
C’è un giovane Marco che inizia la sua carriera di cantautore ed interprete immerso nel suo sogno di individuare le grandi categorie che simbolizzano le esperienze umane, tutte, le sue e le nostre. Nei suoi sogni ci sono eroi, animali archetipi, mostri, simboli, grandi ideali e lotte universali in cui sublimare paure e desideri condivisi, un modo di attingere l’astratto per dare un senso alla propria piccola esperienza individuale.
Ed invece fulminea giunge la percezione che quel piccolo mondo in cui ognuno è protagonista è esattamente quello che è più facile da condividere , quello così totalmente umano da riuscire a raggiungere tutti gli umani. Con tutto il suo carico di debolezze ed errori, illusioni e delusioni, decadenze e rinascite, mete e sogni rincorsi e dunque potente calamita dell’altrui condivisione. E così la “parola” cambia, diventa concreta e fruibile senza la mediazione dei simboli, racconta una storia che è singola ma che tutti ci apparenta.
Mirabile intuizione che si inserisce in un percorso da giovane audace artista ad artista che ha maturato sulla propria pelle quelle sconfitte che la vita inevitabilmente ci riserva ma anche la possibilità di riscattarle attraverso un mutamento di rotta, un’inversione di percorso verso sentieri prima preclusi, che portano verso mete sconosciute ma il cui valore risiede nel fatto stesso di esistere e di essere percorribili. Con tutto il conforto che ne deriva.
Il tempo e il ritmo si mettono al servizio dell’espressione vocale e musicale della propria storia e della propria identità, perché questo microcosmo è definito dalla musica e soltanto con l’armonica, congruente integrazione di testo, emozione, voce, arrangiamento, ritmo e soprattutto cadenza un brano di musica leggera diventa un mondo attraente, una suggestione potente che può affascinarci sino a farci desiderare di entrarvi per ritrovarci in esso al caldo e compresi.
E si rimane sorpresi da questo fluire ritmico e vocale in brani in cui dunque l’artista si discosta da quanto sperimentato fino ad adesso visto che, grazie alla sua naturale propensione verso un sound anglosassone, si era focalizzato, sin dall’inizio, su una versificazione quasi sincopata per riprodurre una cadenza internazionale in una lingua come l’italiano con DNA ad essa non molto congeniale.
Anche la scelta della playlist in divenire, da Marco fortemente voluta, si innesta in felice congiunzione con questa visione oserei dire ”filmica” della vita in cui ogni fotogramma ha una sua valenza di significato e bellezza ma non è mai fine a se stesso, è solo un un’infinitesima tessera di un affresco complessivo che continua finchè la vita fluisce.
Così il ricordo di ieri si unisce all’emozione di oggi sia pure in veste mutata, non scompare in quanto è diventato parte di noi che l’abbiamo vissuto. In qualche modo ci indica anche il percorso che ci attende domani, un domani che non ci fa più tanta paura perchè la nuova forza che il superamento del dolore di ieri ci ha fornito ci rende più sereni nel guardare al futuro. Non a caso anche il video del primo singolo andrà a costituire, insieme con i successivi, un cortometraggio finale che definirà una storia ed un vissuto.
Il fascino di questo fluire interattivo tra stimoli di origine diversa ci fa presagire che parte integrante di questo nuovo capitolo musicale saranno anche le esperienze vissute all’interno dell’anno trascorso ma soprattutto del tour che si è concluso lo scorso maggio.
Anche gli abbracci ed il calore ricevuto e rinviato non si dimenticano, sedimentati in tutti avranno voce, ne sono certa, anche in questo album e nel nuovo tour insieme con tutte le verifiche acustiche e sonore che, con l’attenzione da perfezionista testardo che Marco Mengoni dedica loro, verranno arricchite anch’esse dalle esperienze vissute.
La bellezza di questa continua interazione tra esseri umani, strumenti, sperimentazioni vocali è tratto dominante di questo giovane artista che dal passato, anche musicale, trae forma e sostanza per il suo sguardo altrove e sul futuro.
Appassionante dunque questo percorso con la possibilità di ulteriori svolte ad oggi impreviste ed è proprio quella nozione d’imprevedibilità l’elemento primario del suo fascino.
Tutti noi cultori della comunicazione artistica potente, ne sono sicura, ne trarremo vantaggio e godimento.
[youtube id=”ARqpqyA49y0″]
Facebook Comments