Dei 6 album finora sfornati da Michele Salvemini in arte Caparezza, non so dire quale sia quello da ritenere il migliore.
È difficile giudicare lavori tra loro distanti anni luce e caratterizzati da un leitmotiv sempre diverso. Quello che però accomuna questi dischi del rappautore (a lui piace definirsi così) molfettese, è la continua sperimentazione musicale, una ricerca di un sound sempre diverso e originale, che unito a dei testi che sono veri e proprio manifesti sociali, porta Caparezza nell’olimpo della musica italiana.
Non più dunque solo un mago del rap, ma un cantautore con la “C” maiuscola, se ancora ci si ricorda l’effettiva funzione dei cantautori. Spesso infatti, vedo associati a questo termine cantanti attuali, a volte anche bravi, ma che ben poco hanno a che fare con i vari De Gregori, Guccini, Gaber, Dalla, De Andrè ecc.
Quello che questi grandi artisti facevano, era raccontare tutte le anime della società degli anni 70 senza filtri, fotografare attraverso la canzone d’autore, un’Italia che già allora risultava piena di profonde contraddizioni. Oggi a realizzare questo lavoro di racconto in musica del Paese sono rimasti veramente in pochi e Caparezza è certamente l’esponente di spicco della categoria.
Per raccontarvi la sua carriera in breve, utilizzerò le frasi delle sue canzoni, poiché ritengo sia la maniera migliore per mostrare il suo genio. Già nel 2003, in “Stango e sbronzo”, cantava: “Politici che giocano agli attori, ragazzi che per lavoro c’hanno i genitori? Uè! Sono diventati tutti pazzi, li han convinti che saranno tutti imprenditori”. Era l’epoca del massimo splendore del sogno berlusconiano, dove tutti speravano di poter diventare milionari.
Nella famosissima “Vengo dalla luna” invece, sempre tratta da Verità Supposte, il rapper si schierava dalla parte degli immigrati: “Non è stato facile per me trovarmi qui, ospite inatteso, peso indesiderato e arreso, complici satelliti che riflettono un benessere artificiale: luna sotto la quale parlare d’amore”. Testi profondi ma al tempo stesso moderni come potete leggere, sapientemente conditi dall’ironia, che hanno rappresentato in un periodo di “conveniente” autocensura da parte degli artisti, un atto di coraggio linguistico e musicale.
Nel 2006, è stata la volta di “Habemus Capa”, un album dal quale, tra le tante perle, riporto un pezzo di The Auditels Family, aspra e goliardica critica ai teledipendenti e ai meccanismi del tubo catodico: “Tu non voti alle politiche, ma ti lamenti se le condizioni sono critiche eppure televoti l’Isola dei famosi d’Egitto convinto di avere esercitato un tuo diritto”. Anche quando poi, con Vieni a ballare in Puglia, è tornato a far scatenare i giovani di tutta Italia nei concerti, il messaggio racchiuso era tutt’altro che allegro. Nella canzone di parlava di Ilva (ed era il 2008), di cantieri aperti e di foreste in fiamme, tutto questo al ritmo di una travolgente pizzica.
Nel 2011 è la volta del suo penultimo album: Il sogno eretico, nel quale accanto ai temi trattati di matrice religiosa, trova spazio una tra le canzoni più amare e dirette dell’intera discografia del rapper, ovvero Non siete stato voi: ”Non siete Stato voi, servi, che avete noleggiato costumi da sovrani con soldi immeritati, siete voi confratelli di una loggia che poggia sul valore dei privilegiati come voi che i mafiosi li chiamate eroi e che il corrotto lo chiamate pio e ciascuno di voi, implicato in ogni sorta di reato, fissa il magistrato e poi giura su Dio: “Non sono stato io”. Un capolavoro assoluto che consiglio vivamente di ascoltare a tutti i “capanalfabeti”.
Come queste canzoni, che nel corso degli anni hanno conosciuto un evoluzione musicale anche nelle esibizioni dal vivo, ne potrei citare veramente tante altre dalla discografia di Caparezza, per delineare la sua grande capacità di raccontarci verità scomode e fotografare benissimo la realtà.
Dell’anno scorso è poi l’ultima fatica: Museica. Da questo album abbiamo ascoltato in radio i singoli Cover, Non me lo posso permettere, Mica Van Gogh, Avrai ragione tu, È tardi e China Town. Proprio quest’ultima risulta essere la prima vera ballad composta dal nostro e, inserita in un album che parla di arte e di dipinti, dimostra ancora una volta che il coraggio non gli manca di certo. D’altronde lo dice lui stesso in È tardi : “Tempo e denaro sono concetti diversi non so accomunarli, scrivo un disco sull’arte col rischio di imputtanarmi, ora che posso farci, è troppo tardi”.
Quando pensavamo che l’album avesse esaurito i suoi singoli, ecco spuntare fuori il settimo, Compro Horror, il cui video relativo uscito in questo giorni, ci mostra Michele Salvemini entrare in una specie di negozio degli orrori e trovarci i più importanti personaggi della storia dell’Horror. Quello che fa del video un vero capolavoro però, è la tecnica a 360° utilizzata, che lo rende interattivo e dinamico. Bellissima idea di un uomo geniale. Un cantautore ma anche un rapper.
Insomma, un ARTISTA vero.
“Non è per vincere che vivo ma per ardere, perciò se dovrò perdere lasciatemi perdere e avrò perso, cosciente che non sono né peggiore né migliore di nessuno… finchè sarò diverso”.
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