di Athos Enrile
La morte di Chris Squire è qualcosa che sentivo come imminente, essendo a conoscenza del suo stato di salute, una grave forma di leucemia che, normalmente, colpisce i giovani.
Squire non era un fanciullo, ma di questi tempi avere 67 anni lascia davanti agli occhi un discreto spazio temporale e molta positività.
Il fine settimana ci ha ricordato quali siano i problemi enormi che attanagliano il mondo, ma credo sia doveroso onorare le eccellenze in campo culturale, quelle persone dal talento non comune che hanno saputo creare ciò che prima non esisteva, mettendo tanti piccoli tamponi alle nostre innumerevoli ferite.
Da ieri non faccio altro che scrivere di lui, in tutti gli spazi possibili, perché la sua, la loro musica mi ha segnato profondamente, e l’unico modo che ho per sfogarmi è … testimoniare.
I “loro” di cui parlo sono gli YES, di cui Chris era bassista, corista, compositore e molto altro. L’ho sempre definito “Signor YES”, perché nella miriade di album e formazioni che hanno caratterizzato la dinamicità della band, dal 1968 ad oggi, lui è sempre stato presente… solo lui. E’ di pochi giorni fa l’annuncio della rinuncia al tour estivo, a causa di una malattia che si è poi rivelata fatale.
Uomo gigantesco, nel fisico e nella statura musicale, aveva contribuito a far evolvere uno strumento da sempre considerato, “solo”, il 50% della sezione ritmica –almeno in ambito rock– utilizzando il suo famoso Rickenbaker –tra i primi ad importarlo dagli States nel 1965– in modo innovativo, con effetti e overdrive inusuali per un bassista ad inizio seventies, così come l’impiego del plettro, tipico elemento chitarristico.
Mi piacerebbe che articoli come questi fossero letti dai più giovani, solo perché chi è dotato di una buona curiosità musicale potrebbe essere spinto verso la ricerca di perle che sfuggono alla logica della divisione dei generi, talmente alta è la qualità e la trasversalità messa in campo.
La musica degli YES è quella che vado a ricercare – non solo quella, ovviamente – quando ho bisogno di… qualcosa.
Squire e i suoi tanti compagni di viaggio hanno attraversato epoche e situazioni con pochi cedimenti alla moda del momento, se si esclude un certo pop anni ’80, ma ciò che hanno costruito è un patrimonio enorme da cui attingeranno per sempre i musicisti futuri.
Per avere un’idea di cosa sia realmente la commistione tra rock e classica, suggerisco il DVD relativo ad un concerto del 2001, realizzato con l’Orchestra Sinfonica di Amsterdam, un pugno di musicisti seriosi che, arrivato il bis, si lasciano andare completamente.
Gli YES mi hanno cambiato la vita –e non è questa la ricerca della frase ad effetto– perché se in questo momento batto i tasti e scrivo di musica, ciò è dovuto essenzialmente ad una data fortunata, quel 12 luglio 2003 in cui li vidi, nella mia città, e presi coscienza che ciò che avevo da un po’ di tempo messo nell’angolo, era qualcosa di cui non potevo fare a meno, e grazie a quei pensieri mi riappropriai della possibilità di trarre benessere dalle mie passioni.
Quel giorno Chris era davanti a me, a pochi metri, e quando arrivò sul palco, nel corso della “Firebird Suite”, con il grande bicchiere in mano, teso poi verso il pubblico per i saluti di rito, i brividi corsero copiosi lunga la schiena, mentre io mi riappropriavo, almeno per un attimo, della mia giovinezza.
Questo è il potere della musica… nessuna retorica, solo esperienze di vita.
Ieri sera ho scritto ad un suo amico, non uno qualsiasi, ma un certo…Steve Hackett, chitarrista dei Genesis, con cui ha realizzato il progetto Squackett:
“Dimmi Steve, un tuo pensiero per i fans italiani…”
“I was very shocked to hear the sad news of Chris Squire’s passing. He was a wonderful friend and an incredible musician who gave us all so much. I will always miss him.
Steve”.
Mancherai a tutti Chris, non solo ad Hackett!
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