di Alberto Salerno
Non è facili essere i “figli di…” in qualsiasi campo. La storia ce lo insegna.
Abbiamo visto imperi costruiti in anni di lavoro dai padri, per poi vederli crollare miseramente quando i figli hanno avuto in mano il potere per gestirli. Qualche eccezione c’è e ci sarà sempre, è normale, ma sono appunto le eccezioni che confermano la regola.
Anche nella musica ci sono i famosi “figli di…” e non ho visto dei grandi risultati. Del resto se tuo padre è un fuoriclasse diventa non solo una missione impossibile superarlo, ma nemmeno andarci vicino.
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Sarebbe molto meglio che un “figlio di” scegliesse un campo diverso da quello che ha scelto suo padre, così non ci sarebbe nessun accostamento, nessuno che gli direbbe: “Certo che tuo padre… eh… averne di artisti/uomini come lui!”.
E poi, ovviamente, tutti malpensanti, che immaginano chissà quali aiuti, chissà quali spinte. A volte non è affatto così, perché “il figlio di…”, proprio per questa ragione, é costretto a fare più fatica degli altri… “Ma dai! Tanto c’è tuo padre che pensa a te! Non hai bisogno di noi!”.
Anch’io, nel mio piccolo, sono stato “un figlio di”, ma mio padre era un autore, e io ho voluto emularlo. Ma un autore, anche se di grande successo come era mio padre, ha un profilo molto più defilato rispetto a un cantante o a un grande cantautore. Ma certo, e come no? Mio padre aiutò molto mio fratello e me a entrare nel mondo nella musica, ci fece conoscere persone importanti, eppure io sono convinto che a un certo punto il suo aiuto divenne controproducente, perché non eravamo io e mio fratello a meritarci la stima degli altri, gli altri stimavano lui.
Poi, quando mio padre morì, per quanto possa sembrare strano, trovai la vera molla per farmi sotto, buttarmi nella mischia senza più alcuna protezione. E solo così ti vengono i “cosiddetti”, nella lotta, quando sei solo e dietro di te non c’è davvero nessuno.
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