di Alberto Salerno
Premetto che non mi picco di essere un critico cinematografico.
Ci mancherebbe, sono solo uno che esprime le proprie idee, le proprie opinioni, insomma pensieri in libertà, che ovviamente si possono condividere o no.
Questa premessa era d’obbligo visto che oggi mi va di parlare della “Dolce Vita”. Il motivo è semplice, perché ieri mi è capitato di rivederlo. Non succedeva da più di vent’anni, e mi ha stupito perché per la prima volta ho scoperto cosa c’è dietro a questo meraviglioso film, qualcosa di cui non mi ero mai accorto.
Ho scoperto tutte le dinamiche della recitazione, l’arte dell’uso della cinepresa, i dialoghi, gli sguardi e l’atmosfera. Ma dove eri stato prima di ieri? Vi chiederete voi. Ebbene chiedo scusa, evidentemente la “Dolce Vita” lo avevo visto in modo più superficiale, benché mi arrivasse comunque la sua atmosfera gravida di una Roma corruttrice e corrotta.
Del resto un’opera la cui sceneggiatura fu scritta, tra gli altri, da Pierpaolo Pasolini e Ennio Flaiano, non poteva essere che arte allo stato puro.
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