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mercoledì, Settembre 18, 2024

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I 50 anni dalla morte di Janis Joplin in un concerto al Teatro del Buratto a Milano

Janis, take another little piece of my heart è lo spettacolo prodotto dal Teatro del Buratto, di Milano, per celebrare Janis Joplin a cinquanta anni dalla sua morte avvenuta il 4 ottobre 1970.
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Luca Cecchelli giornalista, da sempre curioso indagatore dei diversi aspetti del mondo dello spettacolo, è l’ideatore del progetto.

In un dialogo meta teatrale tra un tecnico di scena (interpretato da Davide Del Grosso che cura anche drammaturgia e regia) e Marta Mungo (attrice eclettica diplomata alla Paolo Grassi), si ripercorrono le tappe biografiche della Joplin, tra lettere, articoli, pagine di diario, memorie, aneddoti.

Marta Mungo sa accarezzare le note della Japlin e portare alla luce non solo l’appassionante carriera musicale e i successi della cantante ma anche il suo profilo più intimo.

Janis Joplin non voleva restarci nell’opera di Dio.

Lo ha supplicato, fosse anche per una sola conversazione.

Sperava persino di potergli essere utile.

Nella sua autodistruzione – giovane donna malinconica – gli porgeva ferite, sofferenze e lacrime. Lo invocava straziata, si lacerava sulle note, con una voce che era un graffio una preghiera.

Janis aveva l’anima frammentata, parti di lei si trovavano, disperse, in un altrove. Il bullismo, verbale e relazionale, subito in età adolescenziale, le aveva lasciato cicatrici nel cervello ed ematomi sull’anima. Ansia, depressione, scarsa autostima, tendenze suicidarie, le droghe o l’alcol diventarono per lei stimoli gratificanti.

La ricerca esasperata di un’accettazione, quel non sapersi accontentare mai. La famiglia l’amava ma reagì con sconforto ai suoi eccessi. Lei, dal canto suo, riconosceva ferite ed errori e aveva capito, più di altri, che i conflitti sessuali sono causa della sofferenza primaria sulla terra.

Non era una cerimoniera sociale ma la peccatrice dell’insoddisfazione, la sconfinatrice nel buio della solitudine.

Cantava e si muoveva sul palcoscenico con impeto sciamanico, creava energia, effondeva sensualità ed erotismo come offerte per la sua rinascita. Rilasciava particelle coese di anima e dolore, con una trasparenza sconcertante, in un autismo animico.

Faceva del suo corpo e delle sue parole, merce di scambio dei sensi per la “non solitudine”.

Non era nemmeno un fatto culturale ma l’unica cosa che potesse metterla in relazione con l’indefinito e con mille altre realtà era una copula pubblica, metafora di ciò che lega unisce penetra l’anima, e sospende il tempo tra consapevole e inconsapevole, giorno e notte, vita e morte. La sua visione dell’amplesso era altissima come l’energia che lei emanava. I rapporti, le relazioni, dovevano essere una connessione con altri universi, con altre realtà, o forse con le mille parti di lei ormai già gassose.

“Sul palco faccio l’amore con 25.000 persone. Poi, me ne torno a casa sola”.

Si sentiva inutile senza nessuno da amare e di più non trovava nessuno che riuscisse ad amarla fino a farla sentire protetta. Nemmeno Dio. Sapeva che una donna lasciata sola si stanca di aspettare: sapeva persino che si fanno cose folli, in momenti di solitudine. Le febbri della notte bruciano una donna non amata. Sono fiamme roventi, il consumatum est, per gettarsi alle spalle un vecchio amore.

La solitudine la tallonava, la disturbava, bussava alla sua porta con il ritmo pressante dell’inquietudine. Penetrava nelle pareti della sua esistenza, le percuoteva, la afferrava per i piedi e la trascinava, facendola precipitare nel vuoto, mentre il suo ultimo amore partiva per Kathmandu, lasciandola sola in dosi profetiche di infelicità.

Janis sognava una vita normale, promise al suo amore che si sarebbe disintossicata da tutto, persino da quel dolore straziante che la torceva in canto.

Janis aveva in mano la sua vita, ma ebbe paura di non farcela. Dopo mesi che non si faceva precipitò tutto nel silenzio di tre telefonate.

La prima al municipio per il matrimonio, non le rispose nessuno.

La seconda alla sarta per l’abito da sposa ma la sarta non rispose.

La terza al suo pusher e lui rispose.

E fu per sempre il silenzio.

Le sue mani ormai fredde non fecero in tempo a stringere la lettera del suo amore.

La risposta che Janis aspettava le arrivasse da Dio.

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