Dato che va molto di moda postare sui social la propria classifica dei film, dischi o libri preferiti (non più di dieci per carità perché dodici o cinquanta non sono conformi) mi è venuta in mente una scena del film: “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” in cui Nino Manfredi, con aria disgustata, fa un giochino di società demenziale con amici e parenti, nel proprio salotto. Se Ettore Scola fosse ancora tra noi e scrivesse il film oggi, immaginerebbe la stessa scena con gli attori con i cellulari in mano attenti a postare il giochino delle nomine su facebook, il nuovo gioco non da società, ma da social.
Ebbene si, c’è gente che perde tempo su facebook a postare giochini inutili sui dieci dischi o i dieci film più belli della loro vita, nominandosi tra loro e facendo incazzare persino chi le catene non le ha mai sopportate fin dai tempi in cui andava alle scuole medie. Mi pregio essere tra questi ultimi.
Una volta il giochino era basato su collezionismo e sciocche superstizioni… tipo manda una cartolina o un francobollo a dieci amici ma se interrompi la catena ti capiterà un guaio. Poi qualcuno pensò che gli italiani erano così superstiziosi e fifoni che valeva la pena di abbinare alla catena il denaro, per cui lanciò l’idea di inviare mille lire a dieci amici tramite vaglia per riceverne diecimila in breve tempo.
Negli anni ottanta si arrivò alla sciagurata catena del giochino dell’aereo, che consisteva nel portare due amici nell’equipaggio che sborsassero una certa quota a testa, per poter salire di grado fino ad arrivare a essere il capitano che usciva dall’aereo con i tasca un milioncino di lire in tasca e in nero. Ricordo che si formavano feste con gruppi che spiegavano il gioco persino nei locali e nelle discoteche, oltre che nelle case private. Qualcuno prendeva il grano… gli altri che rimanevano dietro e non riuscivano a trovare amici che continuassero la catena, si incazzavano e pretendevano la restituzione della quota, così c’era gente che di quote ne comprava due o tre pur di chiudere sto equipaggio del cazzo. Stronzate megalattiche che in definitiva sostenevano il concetto della speculazione finanziaria. Tu metti i soldi, trova un paio di polli da spennare e vedrai che ci guadagni, ma se li perdi è colpa di qualcun altro.
Ora il giochino delle “nomine” su facebook è fortunatamente gratuito ma è imbarazzante ugualmente perché fa perdere un sacco di tempo e non serve a niente, tantomeno a recuperare la memoria, dato che i dischi o i film preferiti li conosciamo a menadito, nota per nota o sequenza dopo sequenza, ma sappiamo anche che non possono essere dieci ma molti di più, e qui casca la seconda demenza storica da cui siamo intossicati dagli anni sessanta in poi: vale a dire la vetusta ideologia della classifica, della top ten, della numerazione delle merci più vendute, quindi secondo il presupposto commerciale, delle merci artisticamente più valide.
Ci abbiamo creduto sempre fin da bambini, perché immaginavamo che il mercato lo decidessimo noi, senza subire alcun condizionamento distributivo o pubblicitario. Ce ne siamo vergognati solo di rado, quando ad esempio in testa alla classifica degli incassi cinematografici c’era il “Pierino” di Alvaro Vitali, dove la sceneggiatura era intrisa di rutti, scoregge, barzellette da caserma e tette e culi in bella vista. Ricordo che persino L’Espresso dedicò una copertina al fenomeno Pierino.
Oppure quando al numero uno della Hit Parade c’era una puttanata dei Ricchi e Poveri o degli Abba.
Ora nel 2020 Il mix del giochino delle nomine da social integra quindi la dipendenza da classifica con la superstizione da interruzione da catena, perché anche se non ti arriva un accidente sei accusato di aver interrotto il giochino dei tuoi amici e non è mai bello, perché è un po’ come quel deputato che dopo aver sostenuto la campagna elettorale del partito ed essere stato eletto grazie ad esso, al primo screzio passa al gruppo misto.
Poi c’è un terzo elemento, quello del narcisismo culturale da strombazzare sui social, perché fa figo postare l’album dei King Crimson o di Bob Dylan anche se poi sai a memoria le canzoni di Laura Pausini ma ti vergogni ad ammetterlo, così come è strafigo postare la locandina di “Tree of Life” di Terence Malick anche se sei un fan di Checco Zalone.
Forse tra qualche decennio le generazioni future leggeranno dei saggi di antropologia sui comportamenti digitali degli italiani scoprendo teorie rivelatrici interessanti.
Magari scopriranno che dal 2010 al 2020 la maggior parte della popolazione non si era affatto accorta che continuavano a uscire film e musiche nuove in tutto il mondo, ma che l’editoria e la discografia italiana erano praticamente fallite, cosi’ come la pay television aveva ammazzato il cinema peggio del Covid 19.
Magari scopriranno che gli articoli dei quotidiani erano pieni di errori di grammatica, di falsi storici e di notizie inventate di sana pianta e che l’unica fonte di scambio e condivisione culturale erano i post da annunci funerari quando un grande artista lasciava questa immensa valle di lacrime immersa nei rifiuti.
Magari scopriranno che a quel tempo, gli italiani nominando gli amici sui social per “obbligarli” a postare ogni giorno la copertina di un disco, di un libro o di un film, gli procuravano l’orchite a loro insaputa.
A proposito, per non essere da meno, nomino Mela Giannini a non postare la recensione del prossimo disco del dinosauro Albano, prima che l’uomo lo distrugga.
Facebook Comments