Quando a quattordici anni comprai con la paghetta settimanale la mia prima camicia a fiori, mia madre si preoccupò, perché non pensò che volevo assomigliare ai Beatles di “MagiCal Mistery Tour” ma che avessi qualche inclinazione sessuale diversa. Si preoccupò anche quando trovò un pacchetto di cartine Ritzla nei miei jeans. Quando gli spiegai che non doveva preoccuparsi mi diede fiducia e si tranquillizzò.
Normali gap generazionali che abbiamo vissuto tutti, adolescenti e adulti.
Sono storie che si ripetono e si ripeteranno sempre. Ogni generazione giovanile ha sempre raccontato attraverso la cultura e la musica l’appartenenza alla propria generazione, quasi sempre non capita dalla generazione più adulta. Così è accaduto sempre, dal rock’n’roll in poi, passando per il beat, la psichedelia, il prog, il punk, il metal, il dark, l’hip hop, il rap, etc, etc e così sta accadendo ora con il nuovo fenomeno del rap nostrano o della trap.
La mia generazione nei confronti di questo nuovo fenomeno si sta comportando allo stesso modo delle generazioni adulte del passato. Mi riferisco in questo caso, alla critica musicale dei cosiddetti critici “vintage” che non analizzano bene il fenomeno giovanile contemporaneo, anzi lo disprezzano.
Che cosa vogliamo?
Una generazione che si racconti attraverso il proprio linguaggio, stile, estetica, modo di porsi nei confronti della società e dei media? O una generazione di giovani invecchiati che replichino il pop di anni fa fatto da artisti che oggi hanno compiuto 50 anni?
Non c’è niente di peggio di un giovane vecchio che non si accorge di quello che accade ogni giorno intorno a lui e che finga di vivere nel passato. L’epoca attuale ha infiniti eventi culturali, sociologici, persino antropologici da raccontare. La tecnologia ha invaso e trasformato completamente il nostro modo di comunicare, di stare insieme, modi, mode, usi e consumi. E’ cambiata persino la fruizione della musica stessa, il modo di produrle e di ascoltarla.
Beh, gli unici che provano a descrivere attraverso i loro testi e i loro suoni questa trasformazione epocale sono proprio i rapper e i trapper. Piacciano o meno, lo fanno ed è un bene comunque, aldilà dello scarso talento espresso.
Come padre anche io ho fatto una certa fatica a comprendere il gusto musicale di mio figlio. Non mi piaceva la musica che diffondeva nella sua camera, ma non ho mai cercato di criticarla, tanto per non fargli sentire la stessa insoddisfazione che provavo io quando mettevo a palla i Vanilla Fudge, gli Yardbirds e i Rolling Stones mentre vedevo mia madre storcere il naso.
Vedo oggi in tanti articoli e recensioni che la storia si ripete. Ovvio, noi abbiamo vissuto un’epoca d’oro con immensi artisti che hanno rivoluzionato tutto: linguaggi, suoni, parole, immagini. Siamo cresciuti con i Beatles, Jimi Hendrix e Bob Dylan. In Italia con Battisti, De Andrè, Battiato, Area, Pfm. Come possiamo apprezzare Fedez, Young Signorino, Achille Lauro, e compagnia? Durissima.
Beh, non ne siamo costretti per fortuna… però possiamo almeno cercare di capire perché oggi un ventenne voglia tatuarsi le mani e il collo, vestirsi con gli stesi colori di un evidenziatore, mostrare le mutande sopra i pantaloni, farsi le canne come le facevamo noi, usare suoni programmati e ascoltarli dal cellulare anziché da un impianto hi-fi e comunicare da casa propria con i selfie e i twitter.
Questo possiamo farlo benissimo e cercare di comprenderlo. E’ gratis.
Se invece vogliamo continuare a massacrarli perché noi eravamo più fighi, facciamo un gravissimo errore. Inutile tirar fuori i nostri vinili e le nostre chitarre Fender. A loro non interessano. Quindi non meniamogli il torrone. Sono cazz* loro e nostri fino a che non cerchiamo di imporgli i nostri modelli, la nostra cultura, il nostro passato.
Non ci piace questa contemporaneità? Facciamocene una ragione e pensiamoci su, tanto il passato non ritorna.
Il mondo cambia e non si ferma. Cerchiamo solo di essere meno bacchettoni e conformisti, tanto sappiamo bene che i linguaggi e le mode cambiano in fretta, così come il clima, l’aria che respiriamo e i cibi che mangiamo. Smettiamola di aspettare i nuovi Beatles, o il nuovo Dylan, o il nuovo Bob Marley.
Non accadrà mai.
Il più grave errore è alimentare i gap generazionali. Non serve né a loro, né a noi, anche perché ci fanno sentire più vecchi di quello che già siamo. Largo ai giovani? Magari meglio Lardo ai giovani, soprattutto quello di Colonnata.
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