Marina Ripa di Meana, già Lante Della Rovere, sì è spenta dopo una fiera battaglia contro un maledetto malattia. Con un nome così lungo da non starci dentro un biglietto da visita, ha vissuta un’altrettanta vita che non stava dentro schemi prefabbricati.
Icona di uno spirito libero dagli schemi, ha vissuto l’arco storico dei maggiori cambiamenti nella cultura sociale italiana, dallalla rinascita post bellica degli anni ’50 al boom della dolce vita passando dal caos dei ’70 per esplodere nell’edonismo degli ’80, consacrandosi con il libro e successivo film, “I miei primi 40 anni”. Nata Marina Elide Punturieri, da una bistrattata Reggio Calabria, ha salito ogni gradino della sua esistenza, attraversando esperienze sociali ed affettive molto spesso controcorrente. Come un’altra donna di difficile catalogazione come Marta Marzotto.
Una vita contro i luoghi comuni
Dichiaratamente contro la morale del gregge, spesso volutamente sopra le righe con la sfrontatezza di chi non teme le gogne del moralismo becero e borghese, Marina ha fatto dell’eccesso una forma d’arte della vita, dalle “mise” alle dichiarazioni, alle prese di posizione pro o contro. Non una “sciacquetta”, magari nemmeno una santa o eroina. Semplicemente una persona.
Stilista, opinionista, scrittrice, regista (Cattive ragazze (1992) con protagonista Eva Grimaldi), Musa per intellettuali, politici e artisti (Lino Jannuzzi, Mario Schifano, Franco Angeli, Moravia e Pasolini, Bettino Craxi) madre non canonica di Lucrezia, Marina non si è nascosta dietro il dito di una borghese signora della buona e poi alta società. Dagli eccessi delle relazioni al glamour televisivo, ha sempre tenuto ben saldo il timone della sua persona ancor prima del personaggio. Anzi forse uno dei pochi casi in cui è il personaggio al servizio della persona e non viceversa.
Certamente qualcuno potrebbe sarcasticamente sottolineare che è facile fare un peana su una bara appena allestita. Ma se si ha il coraggio di leggere veramente la filigrana di una vita vissuta con tutta l’intensità e sincerità di una consapevolezza di sé, non ci si può nascondere dietro il dito di una retorica da bar dello sport.
Come Moana
Così come successe per Moana Pozzi, che i più giovani potranno anche non conoscere, diva del porno deceduta (o scomparsa?) lasciando di sé un’immagine più splendente delle sue colleghe (una su tutte, Ilona Staller, ancora in vita) che ha sdoganato un’attività con il riscatto di una personalità trasparente e coraggiosa.
certo ci sono anche altre eroine diventate icone, come ad esempio Rita Levi Montalcini, premio Nobel, esempio di rigore e dedizione. Marina rientra a pieno titolo nel famedio delle figure che rappresentano un modo di essere anticonformista sotto tutti gli aspetti, di quelli che pagano sempre il conto perché escono dal gregge. Un po’ come certe rock star.
Qualcuno storcerà il naso di fronte a questi miei accostamenti, ci sta. Ma non importa. Leggere ad occhi aperti non è una pratica comune, al contrario di una lettura con gli occhiali dei preconcetti o dei paraocchi.
Essere Rock
Anarchica nello spirito, più che nelle bandiere, Marina Ripa ha vissuto fino all’ultimo semplicemente come una donna coraggiosa, fiera anche dei suoi difetti che non ha mai nascosto.
E questo significa molto, significa, come direbbe forse un’altra icona che in questi giorni festeggia 80 candeline come Adriano Celentano di cui abbiamo scritto qui, essere Rock, controcorrente.
Come dovrebbero essere i veri Artisti, a prescindere dal linguaggio che usano. E che ai quali in fondo dovremmo essere grati, innanzitutto. Forse più che piangerne la scomparsa, dovremmo rivederne il preconcetto.
Essere liberi costa. E lei ha sempre saldato i conti.
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