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X FILE SONG: Testi incompresi, equivoci, censure nelle canzoni di ieri

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di Roberto Manfredi

Esistono canzoni il cui significato, nell’immaginario collettivo, è diventato altro rispetto alle intenzioni di chi le ha scritte. Spesso un significato contrario.

Un esempio illuminante è “Il cielo in una stanza” scritta da Gino Paoli quando non era nemmeno iscritto alla Siae, e infatti per primo la depositò Giulio Rapetti, in arte Mogol. Il testo racconta un’esperienza dello stesso Gino Paoli, fatta in un bordello di Genova. La stanza dal tetto viola non era altro che una stanza a pagamento in compagnia della prostituta di turno. La straordinaria vena poetica dell’autore fa credere a tutti che la stanza in questione sia la nostra camera da letto, dove ci rechiamo con la fidanzata, la moglie, la compagna di tutti i giorni. Tutti ci identifichiamo in quella stanza, non concepita come un’alcova, ma come la stanza in cui passiamo gran parte della nostra vita, dove i sogni si mischiano al sesso convenzionale, al riposo, al raccoglimento di una classica coppia. Così pensiamo che “l’organo che vibra” sia un simbolo quasi mistico, dell’amore, ma in realtà nella canzone di Paoli è un esplicito, riferimento sessuale.

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Il cielo in una stanza – GINO PAOLI

Non è un mistero che la stessa Mina, che incise la canzone per prima, all’inizio fu riluttante nel’interpretarla, ma poi  si convinse solo dopo averla ascoltata dallo stesso Paoli al pianoforte, in un’audizione privata.

Correva l’anno 1960 in un’Italia culturalmente molto “bacchettona” e probabilmente per questo, il senso della canzone fu totalmente incompreso. Il governo democristiano di Fernando Tambroni, tramite il suo ministro dello spettacolo Umberto Tupini, annunciò una drastica censura per tutti quei film con “soggetti scandalosi, negativi per la formazione della coscienza civile degli italiani“. Sotto accusa c’ era persino il film di Federico Fellini: “La dolce vita”. Figuriamoci se una canzone prima in classifica poteva rivelare un rapporto sessuale a pagamento con una prostituta.

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Il cielo in una stanza – MINA

Per anni gli italiani credettero che il testo raccontasse una tipica storia d’amore tra una coppia tradizionale. Poi un giorno Gino Paoli raccontò la verità ma ormai Il “Cielo in una stanza” era troppo conosciuta per essere censurata in RAI. Allora esisteva la commissione di ascolto in RAI, una sorta di loggia della censura formata da un ristretto gruppo di funzionari osservanti del cosiddetto “comune senso del pudore” e strenui difensori della “morale pubblica”. Molto spesso non sapevano cogliere i significati nascosti nel testo, soffermandosi invece sulle singole parole.

Renzo Arbore racconta, nella sua biografia, che esisteva persino un libricino con una black list di parole vietate. Ad esempio, non si poteva utilizzare la parola “membro” perché riconduceva al sesso maschile. Neanche sotto altra forma, come ad esempio a indicare un “membro del Parlamento”. Era un retaggio del ventennio fascista e durò a lungo dalla liberazione in poi, fin oltre gli anni sessanta. Gli effetti erano davvero risibili. Arbore racconta che durante le audizioni, Gianni Boncompagni distraeva la commissione ogni qual volta la canzone stava a esprimere una parola non consona al “buoncostume”. Boncompagni in quel momento alzava la voce dicendo “ecco ascoltate il ritornello” in modo da “oscurarla” all’ascolto della commissione dei bacchettoni.

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Tony Renis – QUANDO QUANDO QUANDO (1962)

I doppi sensi di alcuni testi, non venivano nemmeno compresi. Ad esempio “Quando l’amore viene il campanello suonerà” oppure “Dimmi quando tu verrai… dimmi quando, quando, quando”, o ancora “L’uselìn de la comare, sempre lì volea volare”. Quando invece il testo era esplicito fin dal titolo, come la censuratissima “Nuda” di Domenico Modugno, scattava inesorabile la legge del taglione. Nel guado ci finì anche Luigi Tenco con la sua dolcissima e struggente “Mi sono innamorato di te”, che qualcuno definì persino “una bestemmia” solo per il fatto che nel testo Tenco canta frasi come Mi sono innamorato di te e adesso non so neppure io cosa fare / il giorno / mi pento d’averti incontrata / la notte / ti vengo a cercare”.

Quel “cercare di notte” fu inteso come un uomo che va a cercarsi una prostituta perché non ha altro da fare nella vita. Tutto questo oggi ci sembra inverosimile e ci fa persino ridere, se non inorridire.

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LUIGI TENCO – MI SONO INNAMORATO DI TE

Ora siamo in un’epoca contraria, dove alcuni i testi sono talmente espliciti da non lasciare alcuno spazio all’ immaginazione. Si trasmettono video con ragazze che “sbattono” il sedere in ogni dove, magari sulla stessa faccia del cantante. E’ tutto talmente poco interessante che ci vien voglia di ascoltare canzoni del passato, quelle dove i testi contenevano dei piccoli segreti da svelare.

 

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