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mercoledì, Giugno 7, 2023

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TEMPI DURI PER I COMICI ITALIANI

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di Roberto Manfredi

Maurizio Crozza a parte, che è riuscito a reggere il passaggio da La7 a Nove, guadagnando persino ascolti, la comicità in tv sta vivendo una fase di crisi. Zelig è morto e la sua fine non è un caso. Non è solo un problema di budget, ma di formula e di linguaggio. Lo stand up comedy è finito. Il meccanismo “avanti un altro”, con  sketch a rotazione da un paio di minuti non interessa più.

La Rai dopo i deludenti ascolti di “Made in Sud”, ha programmato il ritorno di Luca e Paolo. Format nuovo? Macchè. Si ricicla lo storico “Camera Cafè”. Nuovi episodi certo, ma dopo duemila episodi già prodotti da Magnolia e trasmessi anni fa su Italia 1, come potremmo parlare di novità o di innovazione nella comicità televisiva?

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I nostri funzionari tv, evidentemente, non riescono a guardare oltre le mura del loro ufficio. Basterebbe prestare attenzione a cosa accade oltreoceano, guarda caso  negli Stati Uniti, per capire qual è l’unico stile e modello di comicità di successo. Sono decenni, ormai, che i comici americani hanno sepolto lo stile tradizionale di comicità destinato al target famigliare. I comici americani di successo fanno satira politicamente scorretta. Non guardano in faccia a nessuno. Hanno ereditato la trasgressione di Lenny Bruce e ne vanno fieri.

Qualche esempio: Linda Lampanelli italo americana, fa spettacoli sboccati, volgari ma irresistibilmente comici. I suoi riferimenti sono il sesso e il razzismo. Sale sul palco e dopo due secondi dà del ladro a un messicano, del frocio a un bianco e della culona a una donna di colore seduta in prima fila. Non contenta si rivolge a un anziano, o meglio alla signora seduta al suo fianco, per chiederle se a lui gli tira ancora. Se la signora risponde yes, la Lampanelli le dà della bagasciona.  Poi si rivolge al messicano in seconda fila e gli dice:
“Mi piacciono gli ispanici. Ho sempre voluto sbattermi uno di voi bastardi”.

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L’incipit è provocare, sempre e comunque, ma Linda Lampanelli, lo fa così bene che la platea si contorce dal ridere e nessuno si offende. E’ stata ospite più volte al Late Show di Letterman e nei maggiori talk show americani. Paradossalmente non ha mai avuto problemi di censura. In confronto a lei, il Benigni dello storico monologo della vulva, sembra un chierichetto.

Un altro campione di comicità politicamente scorretta, è Louis CK, citato persino da Selvaggia Lucarelli in una puntata di Eccezionale Veramente. I suoi monologhi sono scritti così bene, che il pubblico gli perdona tutto: stati di misogenia, razzismo all’incontrario e dulcis in fundo persino stangate all’esercito degli Stati Uniti che combatte all’estero.

“Certo che se combattete per il vostro Paese e venite colpiti e feriti è una terribile tragedia. Certo che si. Certo che si. Ma… forse, se prendete un fucile e andate a usarlo in un altro Paese, e venite colpiti, non è poi così strano, forse… se il tizio a cui stavate sparando, vi colpisce a sua volta , è un pochino colpa vostra “.

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La lezione che ci viene dagli americani è molto chiara. Nessuno si offenda, qui facciamo ridere, ridere persino delle nostre miserie. L’intrattenimento e lo spettacolo sono sovrani. Se vogliamo prendere per i fondelli il nostro Presidente, lo facciamo, magari anche per lui, che gli fa bene. Gli editti bulgari non sappiamo nemmeno cosa siano. L’accettazione dipende solo da un fatto. Se fai ridere oppure no, non certo se sei democratico o repubblicano, nero o bianco, giallo o marrone, ebreo o cattolico, etero o gay, guerrafondaio o pacifista.  Se fai ridere, puoi dire quello che vuoi. Nessuno va più in galera per uno spettacolo di cabaret, come accadde negli anni sessanta a Lenny Bruce.

Ora se i nostri solerti funzionari televisivi si accorgessero di questo, cioè di quanto la comicità può funzionare se liberata dal bacchettonismo italico, concedendo poi la dovuta libertà a noi autori che magari, dovendo scrivere, siamo abituati a documentarci e a studiare i linguaggi e gli stili altrui, ecco che non avremmo più in tv quei comici scadenti, fuoriusciti dai villaggi turistici e dai matrimoni dove si fanno ancora le battute sulla suocera o sulla prima notte di nozze, con le parrucche e le barbe finte di rigore. E’ dai tempi di Aristofane che la satira, o la comicità, prende spunto dalla Società, anzi ci nasce insieme. Ma evidentemente qualcuno ha la memoria corta, o più semplicemente non legge, dice di non avere tempo ma nemmeno la voglia per farlo. Gli americani hanno imparato la lezione di Lenny Bruce: “La realtà è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere”.

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Noi non abbiamo nemmeno imparato la lezione dei Dario Fo, dei Paolo Rossi, dei Daniele Luttazzi, dei Cipri e Maresco, e scusate se dimentico qualche maestro. Oggi siamo rimasti con qualche piccolo eroe capace ancora di alzare le mutande sporche della satira, ergendosi su quel cumulo di rottami della comicità televisiva. Sono i ragazzi di Lercio, di cui uscirà ad aprile il prossimo libro, il glorioso Vernacoliere, rimasta l’unica testata cartacea di satira pura, e pochi altri seguaci come il mitico Natalino Balasso, talmente oscurato dalla tv che bisogna cercarlo sul suo canale web.

Si spera nel ritorno in tv di Daniele Luttazzi, che almeno gli americani li conosce bene, in un Corrado Guzzanti in prima serata  e in un’alzata di tiro di Maurizio Crozza che sul Canale Nove, in cerca di ascolti sempre più lusinghieri, può permettersi di tutto. Se tutto ciò non dovesse accadere, si può sempre cercare un medium disponibile per connettersi con Aristofane o trasferirsi negli Stati Uniti, dove alcune star possono permettersi il lusso di mandare a quel Paese persino il loro Presidente, che peraltro risulta essere un buon comico, anche se involontario.
Grasse risate a tutti.

 

 

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