Io non ho mai conosciuto personalmente Umberto Eco. Non ho un aneddoto che lo coinvolga. E non ho nemmeno una foto, una reliquia, un furtivo incontro da raccontare.
Ma so quanto l’ho amato e quanto fondamentale è stato per la mia formazione universitaria e culturale.
Devo a lui e alla sua produzione letteraria, quel poco che ho potuto affrontare, la voglia di non cedere all’appagante superficie dei messaggi ma di distillarne il Vero cercando tra le pieghe del testo.
Fulminante per me una sua Bustina sugli annunci immobiliari: imparando a riconoscere gli stilemi tipici degli annunci si può, forse, capire meglio il valore o meno degli immobili proposti. Per estensione questo vale per tutta l’informazione, soprattutto politica.
Ma oggi vorrei parlare, umilmente e brevemente, dell’importanza di Umberto Eco per la musica, ricordandoci alcuni brevissimi dati.
Musicista dilettante, come ha avuto modo di raccontare, amava suonare la tromba della quale era un buon esecutore fino all’età di dodici anni. Riprendere in mano occasionalmente questo strumento era per lui ritornare ancora alla sua infanzia.
La musica in Eco è parte integrante della sua formazione culturale sin dagli inizi. Non è un caso fu il grande compositore Luigi Nono a suggerire la forma e il nome del movimento letterario Gruppo63, nato a Palermo nel 1963, il cui obiettivo era ridare vita ad una letteratura ferma a canoni dei decenni precedenti.
Del resto qualche anno prima, tra il 1958 e il 1959, Umberto Eco collabora con Luciano Berio alla stesura di Thema (Omaggio a Joyce). Nato inizialmente come progetto più ampio per una trasmissione radiofonica della Rai, si riduce in seguito ad un brano elettroacustico che mette in musica parti del testo dell’Ulisse di James Joyce, applicando gli studi di linguistica e di fonetica condotti da Eco. La composizione è stata realizzata negli Studi di Fonologia della Rai di Milano, oggi integralmente conservati nel Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco.
Nel suo Apocalittici e integrati Umberto Eco ha elevato la musica leggera alla nobiltà di campo di studio, analizzando le ricadute delle logiche di mercato e della riproducibilità meccanica sulle scelte artistiche.
Aggiungo che in tutta la produzione narrativa Eco ha sempre destinato alla musica e ai suoni un ruolo fondamentale, anche se poco apparente: le descrizioni dei paesaggi sonori sono accurate, minuziose e sempre calzanti, diventando in alcuni casi vera drammaturgia musicale (anche se non risuonante) all’interno del testo.
Benissimo ha fatto Furio Colombo, amico di una vita, a citare nel suo ricordo su Il fatto quotidiano i rapporti d’amicizia tra Umberto Eco, Luciano Berio e John Cage, rimarcando proprio l’Omaggio a Joyce come punto di contatto tra la ricerca musicale, letteraria e linguistica. E ancora meglio ha fatto nel citare l’aneddoto del treno per Pechino, nel quali Furio e Umberto erano seduti per terra in un treno affollato, circondati di bambini, cantando canzoni alpine italiane, con “Eco (che sapeva di musica e suonava parecchi strumenti) che ha cominciato a insegnare, far ripetere, dirigere”.
Mi ha colpito di non aver trovate altre citazioni, anche labili o incidentali, in relazione alla Musica: me lo sarei aspetto, un esempio tra i tanti, da Massimo Cacciari nella sua intervista a Repubblica. Proprio lui che nel 1984 portava a Venezia la prima esecuzione del Prometeo. Tragedia dell’ascolto, composizione di Luigi Nono di cui Massimo Cacciari curò il testo, e che venne messo in scena con la famosa e gigantesca Arca di Renzo Piano.
Forse è proprio vero che nel cuore della cultura italiana la musica non ha più un posto. E adesso la musica ha anche un testimone in meno sulla terra.
Anche per questo grazie Umberto di essere esistito.
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