di Athos Enrile
Capita sempre nella vita della persona comune di arrivare al momento di quella che io chiamo la “caduta di ogni pudore”, quando escono fuori dai cassetti le poesie della giovinezza e il pennello rispolvera un pittore fantastico, latitante per anni; certo, Guido Elmi non lo si può certamente definire un tipo qualsiasi, ma il ruolo per cui è conosciuto da lustri è quello del produttore – di Vasco ma non solo – e trovarlo immerso nella proposizione del primo album solo fa… un certo effetto.
Si potrebbe scrivere per ore del suo “La mia legge”, ma credo sia bene concentrarsi su ciò che colpisce maggiormente, lasciando la possibilità di sfogliare il libro a poco a poco, ascolto dopo ascolto.
Sono undici i brani, tutti da lui composti, alcuni datati, le “poesie rimaste per anni nel cassetto”, come chiosavo inizialmente.
Difficile da disegnare la scena: un uomo famoso, da sempre immerso nel mondo della musica, creatore di suoni e immagini per conto terzi, ma timido e insicuro nel proporre se stesso sotto la veste del vocalist, forse poco interessante un tempo, magari soffocata dalla convinzione che “il canto” sia un talento per altri, perché, chissà, mancano estensione e tono, chiarezza e brillantezza. Con questa logica non avremmo mai ascoltato Dylan!
Ma la voglia di mettersi alla prova è forte, forse è il momento giusto, ed è fondamentale l’entusiasmo di Vince Pastano, il suo compagno di viaggio in questa avventura, che rimane colpito dalle canzoni che via via Elmi gli propone, scoprendosi sempre di più, sino a… raccontare proprio tutto.
Nasce un album a mio giudizio sorprendente, perché non trovo eguali nel nostro panorama musicale, nel senso del genere e dell’impatto istantaneo, con una sorprendente originalità.
C’è ovviamente dentro una vita di esperienze, di ricordi, di amori e delusioni, che emergono attraverso sarcasmo e durezza di situazioni.
Spesso si disquisisce sul primato tra lirica e musica all’interno della canzone; in questo caso il testo è il punto di partenza, perché i suoni sono “solo” l’abito che arriva successivamente, con il compito di coprire le parole, senza le quali non si potrebbe definire il brano.
Esiste però un modo d’ascolto differente, dove non ci si preoccupa del dettaglio ma si afferra in toto ciò che si respira nell’aria, e ciò che emerge è una voce incredibile, o meglio, un approccio vocale d’impatto, cupo, da “crooner” come lui dice, con la gestione perfetta delle tonalità basse ed un quasi parlato che spesso mette i brividi.
Le citazioni sono tante, le comparazioni straniere non mancano, ma lo stile “inventato” – scelto o naturale – da Guido Elmi dovrebbe fare riflettere sul come l’essere artista sia spesso confuso con l’abbondanza di uno dei talenti che mamma natura a volte regala: una bella voce, un bel corpo, un viso che “buca” lo schermo.
Guido Elmi è di base un rockettaro, ma ciò che propone è il suo io più profondo, e nella sua essenza, probabilmente, esiste l’esigenza di sussurrare sottovoce, alzando i toni solo con la pesantezza dei ricordi, come avviene ad esempio nella title track, “La mia legge”, un testo da lui definito “nichilista e senza speranza”, con un finale dalla crescente tragicità dei sentimenti; o nella traccia “Ero il re del bosco”, il racconto della sofferenza dell’adolescente Guido, rifiutato dalla grande città.
Undici immagini, undici postcard, undici frammenti, parti di un mosaico nato forse senza pianificazione, per la paura di prendersi un po’ troppo sul serio; un quadro terminato con soddisfazione ed emozione, un puzzle che vien voglia di scombinare, certi che rimettere in ordine non sarà poi così complicato e forse nemmeno importante: il disco dell’esordiente cantautore Guido Elmi, sembra un paradosso, è in grado di aprire un nuovo filone, una strada inesplorata… così capita ai fuoriclasse!
L’INTERVISTA
Chiunque viva un po’ il mondo della musica conosce il ruolo di Guido Elmi, un nome che spinge ad associazioni ben precise; certo è che suona strano, nel tuo caso, parlare di esordio discografico: che cosa ti ha spinto a realizzare l’album “La mia legge” passando, dopo tanti anni, dal ruolo di produttore, fondamentale ma nascosto, a quello di principale protagonista?
Fino alla fine degli anni ottanta ho avuto molti ruoli nell’ambito musicale. Forse troppi. Da poco prima della produzione dell’album di Vasco Rossi “Gli Spari Sopra” ho deciso di concentrarmi quasi esclusivamente sulla produzione artistica degli album e dei concerti. Avevo comunque sempre scritto molti giri armonici e riff ma da quel momento cominciai a scrivere anche canzoni. Intensificai la collaborazione con Tullio Ferro e con lui abbiamo scritto, anche recentemente, parecchie canzoni per Vasco Rossi. Parallelamente verso la fine degli anni novanta cominciai a scrivere canzoni per me. Feci anche una sorta di pre-produzione di 5 o 6 brani. Ma lasciai perdere quasi subito perché non mi piaceva la mia vocalità. Poi improvvisamente circa un anno e mezzo fa scrissi una manciata di canzoni in tonalità più adatte a me e provai a dargli una interpretazione da “crooner”. Da quel momento ci ho creduto è ho cominciato a lavorare con profitto recuperando anche alcune di quelle vecchie canzoni degli anni novanta. Vince Pastano, chitarrista di Luca Carboni e da due anni anche con Vasco, mi ha aiutato molto, credendo subito in me e spronandomi all’azione. Sono anni che collaboro con lui. E’ il co-produttore dell’album. Non si può fare un disco da soli.
Si può immaginare lo scatto di una molla, un fattore dirompente, uno scenario illuminante, qualcosa che ti ha dato il coraggio di… osare?
Ho sempre scritto poesie e racconti e contemporaneamente giri armonici. L’illuminazione è stata quella di unire le due cose e comporre delle canzoni complete. La prima volta in modo annebbiato e impreciso, come dicevo, alla fine degli anni novanta. La seconda volta, recentemente, con la precisa volontà di riuscire nell’intento e con una determinazione che ho scoperto tardi.
Sono undici i brani che compongono il tuo disco: possibile descriverne l’anima e delineare il fil rouge che potrebbe catalogarlo, eventualmente, come lavoro concettuale?
Il filo rosso che lega l’album sono le storie della mia vita, le cicatrici e i fallimenti. Ma anche le mie passioni musicali. Per questo l’album è onnivoro.
Uno dei brani, “It’s a beautiful life”, ha anticipato il progetto ed è la colonna sonora di un video accattivante che colpisce all’impatto: che tipo di importanza dai agli aspetti visual legati alla proposta musicale?
Credo sia importante che alcune canzoni vengano spiegate o rese ancor più affascinanti con un video. Nel mio caso credo che il clip di It’s a beautiful life spieghi bene cosa volevo dire nella canzone. Un elenco di luoghi comuni in lingua inglese e la storia di un tardo edonista con tutti i suoi optional. Poi un personaggio di colore che vive in un ghetto e contesta tutto questo. Infine assieme alla sua gang aggredisce la coppia, che non si fa mancare niente, come nel Falò delle Vanità di Brian De Palma.
Il tuo modo di cantare ti avvicina a forme espressive conosciute, che legano cupezza a ricercato intimismo: mi racconti come Guido Elmi diventa un vocalist?
Provando e riprovando. Poi moltissimo lavoro di pre-produzione casalinga. Notti intere a correggere i testi. Ascolti mirati di Leonard Cohen, Johnny Cash, Steve Von Till, Adrian Crowley, Mark Lanagan e tanti altri.
Vorrei fare un passo indietro per poi ricongiungermi a te; ti cito testuali parole raccolte nel corso di un’intervista che ho fatto a Maurizio Solieri: “Fu Guido Elmi che contribuì in modo fondamentale nel mettere a punto la parte visiva dell’uomo e artista Vasco”. Sei riuscito a ribaltare la tua arte specifica su te stesso o il tuo attuale lavoro è il frutto di mera spontaneità?
Dipende. Per i testi la mia spontaneità è addirittura vicina all’ingenuità. Per la musica la ricerca è frutto di un lavoro lungo e preciso. Per quello che riguarda l’immagine sono anni che la curo e oggi mi sembra di avere ottenuto qualcosa di coerente.
Resto ancora sul versante dei ricordi; pensare ad una tua creatura, la Steve Rogers Band, conduce alla figura di Massimo Riva: che cosa ha significato per te?
Fa parte della mia vita. Abbiamo cominciato insieme. E’ morto mentre stavo lavorando al suo ultimo disco. Una perdita immensa.
Potresti darmi un tuo giudizio dello stato attuale della musica italiana, in relazione a ciò che accade negli altri paesi?
Mi dispiace ma ascolto solo di sfuggita la musica italiana, per cosi dire attuale. Anche nella classica e nel Jazz. Ne ho sempre ascoltata poca a onor del vero anche in passato. Amo molto Paolo Conte, Vinicio Capossela, Fred Buscaglione, Carosone e Piero Ciampi. Amo anche le canzoni perfette, come Rimmel, Una terra promessa, La mia storia tra le dita e tante altre. Molte di Vasco ovviamente.
Esiste l’amicizia nel tuo mondo professionale?
Esiste, ma spesso vengono prima la carriera e lo show.
Che musica ascolti quando non hai obblighi di lavoro ma cerchi il benessere totale, quello che solo certa musica può dare?
Vado a momenti. Spesso Chopin oppure Miles Davis. Ma anche moltissimo metal scandinavo. E poi le novità dei miei beniamini. Ma soprattutto le cose che non conosco ancora. Ieri sera, ad esempio, mi sono sentito i nuovi lavori di: The Anchoress, Demians, Bruce Soord, Duncan Patterson, Steven Wilson e God Is An Astronaut.
Dopo questo inizio di esperienza sei già in grado di valutare se dia più soddisfazione il lavoro di produttore o quello di unico responsabile di un progetto?
Voglio comunque continuare a fare il produttore. Anzi, stare di là dal vetro (non in regia ma nella sala di ripresa), per tutti questi mesi mi ha arricchito anche come professionista. Ho imparato molto da questa esperienza e posso metterla al servizio di altri.
Hai previsto una promozione live dell’album?
Stiamo ragionando su alcune date nei club ad aprile.
Una curiosità… come ha preso tutto questo il tuo normale entourage, non solo Vasco?
Non ho normale entourage. L’entourage sono quelli che hanno suonato nell’album. Ragazzi incredibili e bravissimi musicisti. Vasco è un’altra cosa. Siamo più che amici, complici, compagni a volte anche senza merende, fratelli sodali e uniti nel lavoro, difficile staccarci, difficile spiegare. Alti e bassi… ma nessuno si mette di traverso.
Un’ultima cosa: pensi esista un pubblico particolare a cui rivolgersi con “La mia legge”?
Spero che esita. Anche se sarà una nicchia. Dai primi riscontri è un pubblico adulto e femminile. Ma è presto per dirlo. Io vorrei solo lo ascoltassero… questo disco.
Tracklist – “La mia Legge”
1.Il re del bosco
2.Jumi Juju
3.It’s a beautiful life
4.Like a Gregory Peck
5.Un amore discreto
6.Sono un uomo
7.Donne
8.Se la notte
9.La mia legge
10.Non dirmi che ce la fai
11.Nocturne in D Major’
10.Non dirmi che ce la fai
11.Nocturne in D Major’
“La mia Legge” è disponibile su:
iTunes – GooglePlay – Amazon – Spotify – Deezer
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