Oggi più che mai il web è diventato vero e proprio mezzo di promozione per chiunque abbia un’attività e voglia dare voce alle proprie passioni.
Se da una parte le possibilità di raggiungere un seguito più ampio siano maggiori, dall’altra è vero anche che con la quantità di persone che si rivolgono alla rete per pubblicizzare se stessi il rischio è quello di passare inosservati.
Non è il caso di Enrico Petrelli, nome d’arte Deadstar, un giovane musicista con una grande gavetta alle spalle, che ha saputo trovare nella web-serie “The Lady“, diretta e prodotta da Lory del Santo e che sta spopolando in Italia, un nuovo modo di affacciarsi al panorama musicale.
Se gli esordi lo vedono protagonista di numerose cover acustiche (con le quali tutti gli aspiranti musicisti si devono e si sono necessariamente cimentati) non si può che essere concordi nel notare che sia un artista al passo coi tempi e che sia andato incontro ai generi, per cosi dire, di “tendenza“. Ecco perchè la scelta di affacciarsi ad un genere pop-dance facilmente riconoscibile, ma difficile da eseguire per il rischio di cadere nella banalità e nel già sentito.
Con The Lady (canzone originale dell’omonima web-serie citata in precedenza) siamo di fronte ad un “esperimento” furbo per la capacità di Petrelli di rivolgersi ad una piattaforma virale e ad una realtà che sta avendo sempre più risonanza tra le nuove generazioni, e siamo davanti alla musica di un artista giovane capace di richiamare il concetto di cantautore che, ahimè, spesso viene a mancare, comportando un minor sentimento verso i testi cantati e un’interpretazione sterile.
INTERVISTA
Amanda Lear ti ha definito come “il nuovo Peter Gabriel”, come ci si sente ad essere accostati ad uno dei più grandi artisti del panorama musicale contemporaneo?
Amanda mi ha onorato della sua musica, della sua collaborazioni, della sua voce che ha prestato alle mie produzioni. Quando mi ha detto che le ricordavo Peter Gabriel ero emozionato e l’ho ringraziata per il complimento, poi ha aggiunto “hai qualcosa anche di Mika…” e le ho detto :”ora non cominciamo con le offese!” (scherzando :D)
Il tuo passato di musicista ha visto prima la realizzazione di cover acustiche (un esempio l’album Deadstar sings Jackson) e successivamente l’approdo ad un genere più commerciale come la pop-dance. Come è avvenuto questo passaggio?
Io nasco acustico, infatti il mio prossimo album (2016) con Paolo Castellani è un progetto acustico, una ripresa di cover di canzoni anni ’80 (pop) in chiave invece completamente acustica.
Non ho un genere e credo che non abbia senso “inquadrarsi” in un filone musicale.
Deadstar: come mai questo pseudonimo e da dove è nata la tua passione per la Musica?
Deadstar è un nome “doppio” che ha in se la luce e l’ombra, e corrisponde molto al mio carattere artistico (e non solo). La musica l’ho fatta da sempre: i miei mi mandavano a scuola di piano da una “insegnante” alla quale dicevo, all’epoca, “sei piu’ cattiva della mia maestra di religione”. Poi ho studiato canto con Antonietta Franceschi: un talento, una donna energica, una passionale della musica. Le devo il fatto di avere capito come sfruttare al meglio la mia voce, cosa poterci fare “tecnicamente” e come poterla modulare. Mi faceva ripetere la stessa cosa centinaia di volte … Quanto mi ha fatto piangere!
Il singolo “The Lady” è stato scelto come colonna sonora di chiusura della seconda stagione dell’omonima web-serie diretta e prodotta da Lory del Santo. Come è nata la vostra collaborazione e cosa ti ha spinto a lavorare per una web-serie?
Non avevo mai fatto una “sigla” e questo mi intrigava molto perchè le sigle vanno scritte con una logica prettamente pop: nel ritornello devi ripetere spesso la stessa cosa se vuoi che in 30 secondi resti in testa. Con Lory ci siamo conosciuti mesi fa: ero rimasto colpito dal suo lavoro, trovo la sua mossa di comunicazione geniale. Lory è stata criticata spesso ma, infine, ha ottenuto un doppio scopo: creare una “soap” popolare che il pubblico segue realmente e fotografare una realtà che, spesso, è davvero come la vediamo in The lady. Che ci piaccia o meno, se non vogliamo pensare di essere cosi’, possiamo pensare che lo siano i nostri vicini di casa (lol)
In un panorama, oggi come oggi, così legato ai talent show (basti pensare a X-Factor, The Voice), cosa ne pensi riguardo alla scelta di numerosi giovani di provare a ritagliarsi un posto con tali programmi?
E’ una scelta obbligata. Oggi, ahimé, funziona cosi’: le alternative per chi vuole emergere sono davvero poche. Siamo in una cultura pop meritocratica, per fortuna, dove tutti possono fare tutto: un video o un disco, per esempio, con i mezzi a nostra disposizione, li puo’ fare chiunque. Questo pero’ da a tutti l’idea che fare musica sia una cosa alla portata di tutti mentre dietro un buon progetto c’è molto lavoro, ci sono molti talenti e c’è, prima di tutto, molto studio, che si sia autodidatti o meno. I Talent, dal “canto” loro, danno la stessa illusione: se il mio vicino di casa fa x-Factor, lo faro’ anche io, non importa se una “semicroma” per alcuni è una vecchia Fiat a metà!
L’anno scorso ho partecipato al The Voice of France (con Mika!) e dovevo andare in onda. Dopo qualche settimana di attesa la produzione mi informa (per email!) che la mia esibizione non potrà andare in onda. Questa è la musica dei talent.
Tu sei molto legato alla città di Parigi, cosa ti ha spinto a lavorarci e che rapporto hai con questa capitale?
A Parigi sono scappato letteralmente un giorno, per varie vicissitudini personali, e mi sono ritrovato in un mondo che mi appartiene, ho scoperto un modo di lavorare nella musica, anche, diverso, molto più meritocratico, selettivo, ed esigente, che, pero’ “lavora bene”.
Ci sono rimasto per 6 anni e ancora ci torno spesso.
Dopo i tristi avvenimenti e gli attentati del 13 Novembre a Parigi, condividi la scelta di numerosi affermati artisti di scegliere la via del silenzio, fermando i loro tour in segno di solidarietà?
Quella della solidarietà artistica è una scelta che di artistico non ha, a mio avviso, nulla. Perchè va da sé che tutti siamo stati toccati da quello che è successo il 13 novembre: è un evento tragico, in un contesto musicale tragicamente bello (il Bataclan, che conosco bene), che tocca tutti: potevamo starci noi, i nostri amici, i nostri amici musicisti. Ma è una piccola parte di una realtà che vogliamo o arriviamo a vedere: se dovessimo per solidarietà annullare un tour ogni volta che accade qualcosa nel mondo di simile, non dovremmo piu’ fare nulla. Se fosse capitato a Cuba avrebbero annullato un concerto di Malgioglio??
In una realtà musicale che vede l’uso dei social primo mezzo di promozione e che spesso porta alla inevitabile decisione di scaricare i brani piuttosto che comprare un cd, cosa ne pensi di questa trasformazione del pubblico e che messaggio vorresti lasciare al riguardo?
La realtà è web, la realtà è social. E’, appunto, una realtà dove meritocraticamente un pubblico “vero” si può conquistare. Esiste comunque una verità parallela per cui un “mi piace” falsa le considerazioni oggettive, in fondo “metterlo” non costa nulla ma questo inganna sui grandi numeri. La musica andrebbe comprata non perchè è “giusto cosi”, ma perchè il collasso dell discografia fa si che le produzioni saranno minori, diversificate (troppo) e spesso scadenti. Ero per il cd a basso costo anni fa, quando di cd ne stampavamo e vendevamo a migliaia, sono per il digital download a prezzo dimezzato, su tutti i dispositivi, ed in maniera semplificata.
Si ringrazia per la disponibilità Parole&Dintorni
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