di Alberto Salerno
Io lo ricorderò sempre come un uomo dolce, un uomo gentile, e sempre sorridente.
Mi trovo a scrivere di lui, di Cesare Montalbetti in arte Caesar Monti, fotografo sublime, un grande fra i grandi, uno che l’obbiettivo se lo mangiava, un artista fra gli artisti, perché lui ha fotografato una quantità infinita di cantanti, ma come! E in che modo, con che classe, e con che stile. Devo tornare ai tempi della Numero Uno quando lo conobbi, e già allora aveva delle idee talmente avanti rispetto agli altri, che uno non ci credeva. Faceva delle cose fuori di testa e coraggiose. Per un disco dei “Data”, un gruppo formato da Umberto Tozzi, Massimo Luca e Damiano Dattoli, per il quale io avevo scritto tutti i testi, lui si inventò una busta dove aveva fotografato una clessidra in cui c’era dentro un occhio di vetro, e sulla clessidra una striscia di sangue. Una copertina che poteva essere stata concepita tranquillamente in USA o in UK. Questo era Cesare, con la sua compagna Wanda, sempre al suo fianco, sempre pronta a dargli una mano, a dirigerlo perfino. Lo studio, che ho visitato qualche volta, era davvero splendido, arredato in modo assolutamente moderno e antico, insieme. E poi colori, pennelli, macchine fotografiche ovunque, luci di ogni genere. Qualche anno fa Mara e io lo incontrammo in Galleria, e lui ci parlò di un libro di fotografie tutto dedicato a Lucio Battisti, a causa del quale la vedova gli aveva fatto causa. Lui si mise a ridere, ci disse “ma chi se ne frega, quelle foto sono impagabili”. Il libro ci arrivò a casa qualche giorno dopo, e adesso, sfogliandolo e riguardando quelle foto, faccio un altro volo, ancora, in un passato che non è mai stato così vicino.
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