Ombretta Colli con le parole se l’è sempre cavata bene. A teatro, al cinema, con le canzoni. La vera sfida era metterle sulla carta, farsi leggere e raccontare un duetto d’amore lungo 40 anni con il marito Giorgio Gaber ma anche tutto quello che in quel tempo ci è entrato dentro.
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I cambiamenti dell’Italia, la politica, Milano, la moda e le mode, il femminismo, il parto indolore, gli amici, la paura, una figlia che è tutto, la libertà e l’impegno. Più volte negli anni le era stato chiesto un libro, ma lei aveva sempre respinto l’idea pensando che portasse jella. Poi un giorno è stata presa in contropiede e d’istinto ha detto un sì diventato “Chiedimi chi era Gaber” (ed. Mondadori, 18 euro), scritto con Paolo Dal Bon, storico amico della coppia ed attuale presidente della Fondazione Gaber.
Sono pagine che partono dai mitici anni ’60 ed entrano senza timori nel nuovo millennio. La forza di Ombretta è proprio quella di aver saputo e voluto respirare tutte le arie, aiutata dalla geniale e funambolica capacità di attraversare con ironia lo spazio del cuore e le pieghe dell’anima di Giorgio Gaber. Un incontro casuale, un innamoramento folgorante, un matrimonio veloce, un’attrazione ed un desiderio tenuti accesi da un lavoro comune, interessi cosmopoliti e due caratteri talmente diversi da non poter fare a meno di dialogare, e crescere, insieme. Affrontando la quotidianità, senza il risparmio del dolore, della malattia, addirittura del timore di un rapimento.
Una storia di ordinaria eccezionalità, dove l’eccezionalità è stata proprio nella normalità del signor G e di Ombretta, capaci di concedersi senza risparmio al loro pubblico, alla gente che li aspettava al termine di uno spettacolo o li incontrava per caso. Lo spiega bene la Colli: “Siamo state due persone note e anche popolari. Abbiamo attraversato le gioie e i dolori di una coppia normale. Fino a scoprire che nulla, nel bene e nel male, è stato inutile e che tutto, nel bene e nel male, ha contribuito un pezzettino per volta a rendere unico e indissolubile il nostro rapporto”.
Cantare non quello che “sono” ma quello che “siamo”: Giorgio ha fatto questo regalandoci canzoni che avevano dentro anche la politica senza, però, una tessera a sponsorizzarle. E’ tenera Ombretta quando racconta, come dopo il suo colloquio con Berlusconi che le chiedeva di schierarsi per Forza Italia, accetta subito l’impegno politico ma non sa come dirlo al marito, etichettato dalla sinistra come un proprio simbolo. Una volta a casa è proprio Gaber a toglierla dall’imbarazzo “dicendomi che avevo fatto la scelta giusta se questa era la strada che davvero m’interessava intraprendere”.
Ombretta prende seriamente l’impegno perché il teatro le aveva insegnato “a non bluffare” e indica il periodo alla presidenza della Provincia di Milano come “il più stimolante, dinamico e gratificante. C’era davvero la possibilità d’intervenire e di fare cose concrete. Nei miei cinque anni di mandato ho sempre cercato di avvicinare l’istituzione alle persone”. Come dovrebbe essere, come non lo è quasi mai. Amore e complicità è anche ricordare come Gaber, che non votava dal 1975, ovvero “per 24 anni non si era più presentato ai seggi”, andò a farlo orgogliosamente per lei.
Le avventure più belle nascono per caso e così capitò per loro, con quelle foto insieme per la copertina del 45 giri “Benzina e cerini”, seguite da una telefonata audace e notturna in un hotel di Roma, consacrata a Milano da un pranzo in un locale lussuoso con la Colli che paga il conto perché Giorgio, come un milione di altre volte, aveva dimenticato a casa il portafoglio. Un libro scritto bene, fin troppo bene, visto che chiuso sul comodino ci resta poco: non riesci a staccarti dal ritratto di una coppia complice anche nelle diversità.
Ad Ombretta piaceva viaggiare, Giorgio non si sarebbe mai mosso da Milano ma è proprio nei loro frequenti viaggi a Londra che hanno respirato l’aria del cambiamento, nella musica, nella moda, nelle battaglie sociali e di libertà. E le hanno fatte proprie senza mai tradire l’essenza del loro essere, rispettando se stessi e gli altri. Cercando la propria strada, fatta di libertà ma anche di solidatà nei valori che contano. Gli affetti di casa ma anche degli amici che poi fanno naturalmente parte di quella casa allargata, dove ci si sente al sicuro e rispettati. Ovvero amati. L’amore s’impara trasmettendolo.
Non a caso Ombretta conclude il libro rivelando il momento in cui lei e Giorgio avevano capito di “aver costruito qualcosa di solido, di cui essere orgogliosi”. E’ stato il giorno in cui la figlia Dalia “ci ha comunicato che aspettava un bambino. Attorno a noi, a partire proprio da noi, un uomo e una donna, continuava a nascere la vita”. E quando ho chiesto ad Ombretta la canzone di Giorgio che preferiva, lei mi ha risposto “Così felice”, scritta nel 1965. Leggetevi il testo. Scoprirete che amore e felicità coincidono.
Sono il gioco più bello, e serio, del nostro eterno vivere perchè, come scrive Ombretta: “Io e Giorgio abbiamo condiviso quarant’anni di vita. Ma vorrei aggiungere a questi anche i sedici trascorsi dalla sua scomparsa. In fondo non ho mai smesso di dialogare con lui”. Per sempre.
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