Genio è troppo, ma geniale ci sta tutto. Achille Lauro a 28 anni ha già attraversato più vite (“ero un dannato, un disperato”) e “adesso sono qua”.
In un’afosa serata milanese ha chiamato a raccolta al Bar Bianco nel Parco Sempione i suoi fan più fedeli, invitati prezzemolini ed un gruppo di trampolieri per girare “il video più happy della storia. Sì, siamo qui per riscrivere la storia”.

Esageratamente ironico, ma la verità è che Lauro ha convogliato nello stesso punto, alla stessa ora qualche centinaio di ragazzi vestiti come i figli dei fiori. E li potrete ritrovare tutti nel video uscito per accompagnare “1969”. Aveva chiesto un Flower Party, ha ottenuto un Flower Party.
Camicie floreali, coroncine di fiori, infradito hawaiane, petti nudi e seni in evidenza. A 50 anni da Woodstock è riuscito a clonare quella atmosfera, dove pace e musica rock non bacchettavano fumo ed alcool.
La maggior parte dei presenti nel 1969 non era ancora nata ma Achille Lauro ha molto di quella libertà anarchica. Lui canta quello che altri non canterebbero mai e si propone con look che già di per sé varrebbero un trattato di sociologia.
E’ un millenial che ha capito (e questa è intelligenza) come per emergere in un mondo invaso da artisti a stampino occorre “costruirsi” il personaggio.
Osare, percorrere terreni non battuti e raccontare quello che gli altri non dicono. Lui si definisce “un outsider da sempre”, uno che quando esce una moda va dall’altra parte. Creando scompiglio, naturalmente.
Non a caso anche l’altra sera si è aggrappato “al proprio cavallo di battaglia”, il controverso brano Rolls Royce che ha cantato due volte insieme al suo “popolo”.
C’è chi dice che è un personaggio costruito a tavolino, seguendo le logiche del marketing, la verità è che lui è bravo a comunicare e a coinvolgere.
Le sue canzoni sono storie “fighe” e si aggrappano al passato (Marylin Monroe, L’atterraggio sulla luna, Pretty Woman) per raccontare l’oggi. Lui compone e ricompone, contaminando i generi, così che non c’è solo il rap ma la trap, il punk, il rock, il blues e pure lo swing. Se non sei bravo non ci riesci, ti sgamano subito.
Al Parco Sempione i fedelissimi hanno seguito le istruzioni impartite dai videomaker per rendere al meglio nel video: “Fate i pazzi, più pazzoidi siete meglio è”. Ma la verità è che hanno giocato al risparmio, aspettando l’uscita sul palco di Lauro per dare il meglio in adrenalina ed energia.
Lauro arriva, in un completo bianco ghiaccio, con cappellone, occhiali ed un velo a coprirgli il volto.

Per prima cosa chiede una vodka con soda e frutta. Poi lancia un invito: “E’ una festa ed è una gran figata. Per una volta spegniamo i cellulari e divertiamoci, per favore”.
Nessuno lo spegne lo smartphone e lui intona scanzonato “1969”, il brano che dà il titolo al suo ultimo album dove lo sbarco dell’Apollo 11 sulla luna diventa la metafora per descrivere l’incredibile momento che sta vivendo.
Ma’, ‘sta, so’… nei suoi versi tante parole spezzate, come è tipico dei ragazzi di oggi che anche sotto il palco si chiamano “raga” o “bro”. Nelle sue canzoni cerca “un linguaggio imperfetto, fatto per soprendere, raccontare cose e vite vere. Mi interessano le anime, gli istanti, le visioni”. Ed in effetti le sue canzoni sono piene di visioni e pure di favole, con Cenerentola, Giulietta e Romeo, Aladin, Barbie e concetti spesso sovrastati da quel volto cinematografico, definito da piercing e tatuaggi.
Poi intona “Mamaci” e c’è chi piange a “l’amore è l’errore che più si rimpiange” e subito dopo ride a “ma poi scopiamo tutti e due senza farci domande”.
L’amore torna in “C’est la via” e basta un verso (“Siamo soli in cento personalità”) per sostenere che il ragazzo ci azzecca in modo universale.

Il sole si abbassa e lui alza il ritmo, girando le casse verso il pubblico e alzando i decibel (“Se arrivano i vigili ci fanno la multa. Non fa niente, ci sono abituato. Vi amo. Divertiamoci…”).
Toglie il velo ma non gli occhiali, il pubblico impazzisce, muove sinuosamente le dita smaltate scure facendo i gesti di vittoria e spruzza bottiglie d’acqua su “‘sti bei ragazzi ma soprattutto ragazze”.
Avevano previsto 3 canzoni per lanciare il tour, ma alla fine lui ne esegue il doppio perché in quell’atmosfera tutto diventa travolgente e trascinante. Poi, come Gesù sulle acque, si fa aprire un corridoio tra due ali di folla e raggiunge una terrazza per pochi intimi.
Si cambia.
Sostituisce il bianco con il nero, un corpetto in lamè pieno di pailettes, scarpe d’argento e il cappello intercambiabile (nero, bianco, beige). Non ha più gli occhiali scuri e sfoggia un sorriso a cui è difficile resistere.
Parla con tutti e non se la tira con nessuno. Gli chiedo se è felice: “Abbiamo dato il meglio insieme, io e loro. E non sono arrivati i vigili. Meglio di così non poteva andare”.
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