Roma, Piazza San Giovanni: blocchi ovunque, un’area enorme, transennata e presidiata da vigilanza di varia natura. Il pubblico del Concertone del Primo Maggio comincia ad assieparsi ma più per le code ai controlli che per un effettivo problema di affollamento; successivamente l’afflusso avrà un incremento ma provvederà la pioggia a scoraggiare gli avventurosi.
Si prosegue così, tra una botta di caldo e l’acqua, tante volte citata da Ambra Angiolini sul palco. A proposito, la presentatrice dell’evento costituisce ormai uno dei principali argomenti di dibattito nei salotti e sui social, è l’erede di Andreotti nel terzo millennio: ci piace o no?
Di rimando il Guenzi de “Lo stato sociale” non appare essere il partner ideale per reggere un massacro come questo, dove appare importante viaggiare sulla stessa frequenza di dialogo e tempi: Ambra è abituata ad un gioco di sponda più romanocentrico, Lodo non è male, è svelto, sta in sintonia con i ragazzi, ma è di un’altra pasta.
I due fanno il possibile per rappezzare una formula sicuramente non facile, una sequenza di band che si avvicendano sul palco e un pubblico in forte disagio per la scomodità oggettiva e per la pioggia invadente; nella parte introduttiva spicca Santi Scarcella, bel pianista con notevole presenza sul palco e bei musicisti con lui, a cominciare dal batterista Puccio Panettieri, peraltro unico a poter essere presentato per la solita confusa fretta sul palco.
Questa cosa fornisce, in sede di anteprima, quello che purtroppo sarà il leit motiv dell’evento:
La musica – intesa come tale e quindi come composizioni, interpretazioni, strumentisti, suoni, arrangiamenti – al concerto del Primo Maggio è marginale, schiacciata da innumerevoli tentativi di porsi sulla scia rap-trap, di cavalcare le tematiche sociali del momento e i grandi classici in materia, di attuare la solita captatio benevolentiae con vari “ciao Roma!”, “su le mani!” e amenità simili, di ricicciare le solite ritmiche paraculette intortate su musica veramente elementare.
Recentemente Michele Serra si è esposto in un’invettiva contro l’ignoranza per scelta di vita ed il crogiolarsi in essa, affermando che “è ora di rivendicare i libri letti come calli sulle mani”. Francamente quando è troppo è troppo e questo vale anche per la musica: la maggior parte delle proposte spacciate sul palco di Piazza San Giovanni come la “musica attuale” erano performances di un livello di secondo anno di una qualsiasi scuola di musica moderna.
Nello scorrere dei lustri continua a non apparire chiaro quale sia il fine di questa manifestazione, una scuola di pensiero ipotizza che i sindacati cerchino nuova linfa di seguaci e un ritorno di immagine tra i giovani, ma passeggiando tra il pubblico la tremenda sensazione è che alla maggior parte degli astanti non interessi per niente che cosa le confederazioni dovrebbero rappresentare:
La kermesse è semplicemente il pretesto per un happening di gruppo tra panini, birrette e quattro salti, il che è pure pienamente condivisibile.
Ciò che non si digerisce è lo scollamento del contenuto artistico rispetto alla realtà delle proposte musicali italiane, giovani e meno, pop, rock o jazz che si voglia: il concertone è ormai da troppi anni sinonimo di faticosa ammucchiata di proposte che troverebbero più consona collocazione in una festa di fine anno nel cortile di qualche scuola superiore o campus universitario.
Naturalmente ci sono delle eccezioni, infatti appaiono interessanti i Pinguini Tattici Nucleari, Canova, Rancore, gli Zen Circus, mentre ovviamente Negrita, Orchestraccia, Omar Pedrini e Subsonica viaggiano proprio su un altro livello: gradevoli, strutturati, professionali come del resto Noel Gallagher, quest’ultimo soprattutto a livello di suono, a proposito di produzioni con cognizione di causa, proprio altra roba.
Mimetizzati ovunque ci sono dei buoni musicisti, buona la band di Valentina Parisse e quella di Achille Lauro.
Discorso a parte merita lo splendido Daniele Silvestri: talentuoso, colto e popolare allo stesso tempo, mai banale, sempre acuto ed arguto, musicista rispettoso dei suoi bravi musicisti e della musica.
Per quanto riguarda un po’ tutti gli altri, chi più chi meno, ogni tanto si sente qualche spunto, qualche intuizione, qualcosa di notevole, che poi però fatalmente si perde nel marasma.
Quello che viene da pensare è che manchi quasi per tutti, oltre che qualche callo in più sulle mani e qualche oretta sullo strumento e sul microfono, una presenza competente e carismatica in fase di produzione, il produttore, quello vero, che in tempi meno recenti provvedeva a dare una vigorosa sistemata al materiale dei vari marpioni di qualche anno fa, che pure sicuramente non sono mai stati dei fulmini di guerra sullo strumento e sul palco ma oltre al talento avevano una guida forte che indirizzava e concretizzava degnamente le loro belle intuizioni.
La crisi della discografia è anche un problema di manico.
Chiudo con, forse, il vero momento ricco di significato sociale e politico di tutto l’evento, che rende giustizia ad una giornata e una kermesse che altrimenti sarebbe smarrita e annacquata tra le gocce della pioggia che ha bagnato tutti sotto il palco:
“I DIRITTI UMANI non sono mai sacrificabili… INDIGNATEVI“ (Ilaria Cucchi)
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