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Gaber aveva ragione: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”

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Uno spettro si aggira per l’Italia, uno ma con varie facce: recessione, dilagante razzismo, ignoranza, isolazionismo dall’Europa, decadenza culturale, crisi economica inarrestabile, scomparsa del ceto medio.

Potremmo farcela a combattere questi fantasmi (ormai incarnati in personaggi reali e viventi) se solo apparisse una volontà comune: quella di essere un Paese occidentale normale, dove le leggi si applicano rispettando la carta costituzionale. Ma di questa normale applicazione. nella cronaca dei fatti quotidiani, non c’è traccia.

Siamo ancorati all’immagine degli italiani un po’ disonesti e furbetti, quelli che truccano le carte o le presentano incomplete, fingendo di non aver letto bene tutti i paragrafi o firmato ciò che si deve firmare. Manca questo, manca quest’altro… sempre. L’incompletezza e l’approssimazione rimangono in testa alla classifica nazionale.

In questo siamo i primi al mondo.

Ascoltiamo un file reso pubblico dall’Espresso, dove il Sindaco della Capitale chiede a un suo amministratore di “modificare” il bilancio per “darle una mano”. Lui risponde correttamente che non si può fare. Quindi? “Se deve trovà nà… ssoluzione” è l’incipit della riunione, come se le leggi non la permettessero.

Assistiamo poi al trucchetto del reddito di cittadinanza, un’elemosina ancora peggiore del reddito di inclusione. C’è chi se ne aspettava 700 euro e invece avrà 40 euro al mese. Alla fine dei conti per sostenere questa elemosina popolare, sarà inevitabile l’aumento dell’Iva al 24 %. Ovviamente viene rimandata al prossimo anno perché tra poco ci sono le elezioni europee.

Così tra conferme e smentite si propaga la cultura da furbetti del quartierino, quelli che ripetono tutto il giorno: “Nun c’è probbblema” o “Tutto a posto dottò”, “Mò se vede”, “O’ famo dopo”.

L’immagine dell’italiano medio da film di Alberto Sordi torna di moda. Un po’ vigliacco, un po’ disonesto, un po’ ruffiano, tanto ignorante. L’accoglienza che riserviamo ai nostri turisti nelle città d’arte è pura rapina. A Venezia davanti ai vaporetti, c’è chi prende la valigia ai turisti e li porta a bordo chiedendo soldi per un servizio mai richiesto. Se chiedi alla reception di un albergo un ristorante economico, ti mandano in una bettola dove invece di portarti il piatto che hai richiesto al prezzo evidenziato nel menù, te ne portano un altro per triplicarti il conto. L’ approccio ai clienti stranieri, da parte di certi camerieri istruiti al furto, è pari a quello dei venditori di pomate miracolose sulle tv regionali.

Del resto l’esempio viene dall’alto.

Se un rappresentante delle istituzioni dichiara pubblicamente che “si darà la possibilità agli italiani di scegliere tra lavoro legale e lavoro in nero” che ce lo diciamo a fare? Non c’è scampo. Il panorama è talmente surreale da non sembrarci vero, invece purtroppo è assolutamente autentico e reale.

Si indossano divise che non si possono indossare (se non nei film), si promuovo la cultura del “falso in bilancio” facendolo passare per una scappatoia, si demonizza “lo straniero” e si tollera il nazista nostrano lasciandolo in una sede occupata nel centro della Capitale e oltretutto a gratis.

Le istituzioni vanno a rotoli, precipitano inesorabilmente verso il burrone.

In questo contesto vengono in mente le parole di una nota canzone di Giorgio Gaber: Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono.

La fortuna però, a forza di girare bendata ha preso una capocciata devastante. Stiamo svendendo i nostri maggiori brand a forza di fusioni di multinazionali che in compenso tagliano posti di lavoro agli italiani.

La cronaca del nostro declinio ci appare quotidianamente.

Apri un giornale e vedi un editore che dà della cretina a una minorenne che si pone il problema dell’ambiente e del futuro della sua e delle prossime generazioni.

Disprezzo istituzionale della vita, della morale, della cultura, dell’etica professionale che porta un popolo che nella storia ha praticamente inventato tutto: dalla carrucola mobile alla ruota dentata, dal telefono alla radio, dalla macchina da scrivere alla calcolatrice elettronica.

Un popolo che per risposta diserta le urne elettorali e fa si che il partito di maggioranza diventi quello dell’astensione e che “elegge” a capitano il rappresentante di un partito che ha il 17% dei voti e che ha sottratto allo Stato 49 milioni di euro, tanto un condono se po’ fa. Basta votarlo un venerdì pomeriggio quando l’aula è deserta.

Si applica la stessa soluzione dello sciopero dei trasporti al venerdì, in modo da ottenere un weekend più lungo. Intanto sui social si sprecano battute sull’incendio di Notre Dame e sul gobbo sconfitto in Champions League, perché nella commedia italiana alla Alberto Sordi tocca per forza farsi dù risate. “Io non mi sento italiano ma purtroppo lo sono”. E voi?

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