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mercoledì, Settembre 18, 2024

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L’insostenibile leggerezza della musica di oggi. Facciamocene una ragione

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E’ ora di accettare che la musica è cambiata definitivamente. Non parlo solo di generi, stili, orientamenti, ma dell’intero comparto produttivo, culturale, persino emotivo che le nuove generazioni stanno vivendo e consumando.

Può piacere o meno ma lo tzunami è arrivato. Ha seppellito tutto quello che è stato composto, prodotto, distribuito nell’arco degli ultimi quarant’anni, se non di più. E’ cambiata persino la fruizione della musica stessa, il suo valore economico, vilipeso e disprezzato. Siamo ancora qui a perdere tempo con Sanremo, i televoti, le classifiche, facendo finta che tutto sia rimasto come prima, e non ci accorgiamo che di tutto questo alle nuove generazioni importa poco o nulla.

Vediamo artisti storici che ormai stanno invecchiando e sono a metà classifica. Sorpassati persino da esordienti che hanno pubblicato un album o poco più. Sanno benissimo che la festa è finita. Continuano a fare dischi perché è quello che hanno sempre fatto nella vita, ma ormai il passaggio del testimone è stato persino consumato.

Molti addetti ai lavori e appassionati della musica della mia generazione non hanno ancora capito che i bei tempi sono tramontati da un pezzo. E’ ora di farsene una ragione e seppur amaramente, accettarla. I ragazzi oggi vogliono e desiderano la musica gratuita o a poco prezzo. Non cercano valori e contenuti nei testi più di tanto.

Ascoltano le canzoni con la consapevolezza che la musica non è più un’arte ma un passatempo, un esercizio di svago o di intrattenimento. Una pratica da televotare in mezzo secondo e nulla più. Un sms a 50 centesimi, un like gratuito e i soldi di papà per assistere a un paio di concerti l’anno per tornare a casa con una scorta di selfie. Ascoltano la musica con le cuffiette dal cellulare, a volte persino da un solo auricolare. Del suono, della cultura dell’ascolto non gliene importa un fico secco.

Così ai vecchi, agli zii, papà o nonni non resta che autocelebrarsi a Sanremo. Così vediamo Ligabue che sale sul palco dell’Ariston con una chitarra enorme, di quelle tipo Fender o Gibson che stanno fallendo, come fosse la statua della Madonna Addolorata. Poi lo rivediamo apparire vestito alla Queen Mercury con tanto di corona. C’è ironia certo, ma anche tanta nostalgia.

Eros Ramazzotti canta il suo hit di oltre trent’anni fa, ma a sorridere o a prendersi un po’ in giro non solo non ci riesce, ma non ci prova nemmeno. La canta come se la canzone fosse uscita adesso.

Se Allevi criticando gli esponenti storici della musica classica, parlava di sepolcri imbiancati, qui nel mondo del pop o della canzone cosa potremmo dire se non che stiamo assistendo a due panorami completamente opposti? Mondi lontanissimi come cantava Franco Battiato. Da una parte c’è il Jurassic Park e a distanza siderale il megastore dei videogiochi sonori, reale o virtuale non importa.

Quindi signori miei, è inutile che ci sfoghiamo sui social criticando i neo trap o i cantautori melodici, i ragazzi fuoriusciti dai talent show. E’ il loro mondo, non il nostro. Facciamocene una ragione. Un nuovo De Andrè non ci sarà mai, così come un nuovo Jimi Hendrix. Ci saranno invece sempre meno musicisti e direttori di orchestra e sempre più deejay e supporti virtuali come ologrammi e audiotunes.

Signori miei non ci resta che la consolazione di essere appartenuti a una generazione straordinaria che ha vissuto il meglio di sempre, dai vinili ai grandi raduni musicali. Abbiamo ascoltato e conosciuto i più grandi musicisti del Novecento, creatori straordinari, figure iconiche che mettevano al centro della loro ricerca la sperimentazione, la creatività, e tanta follia applicata allo stile di vita.

Ma oggi, siamo una riserva indiana, siamo come quei pochi eredi di Geronimo o di Toro Seduto che passano le giornate trastullandosi con il cellulare. Quindi finiamola di criticare sti’ ragazzi. Saranno pure affari loro se la musica gli interessa o no.

Ultimo esempio, a proposito di lavoro nella musica.

Il mio amico e vicino di casa Antonio Galbiati, grande musicista e vocal coach e corista fisso a Sanremo, mi raccontava ieri che sta selezionando e cercando dei bravi giovani cantanti per un tour estivo. I curriculum che gli arrivano sono imbarazzanti. La maggioranza sono di ragazzi che vogliono fare gli artisti, o meglio le pop star. Meno di un decimo scrive: ho studiato canto, so leggere uno spartito, o più semplicemente voglio solo fare il cantante.

Questo è solo un piccolo esempio, ma significativo, perché al lavoro sicuro e pagato bene si preferisce il sogno del successo, quello presunto derivato dalla tv, dalle visualizzazioni, dai like. Gocce nell’Oceano inquinato con immense isole di plastica al largo. Facciamone una ragione.

Se oggi volete produrre musica, canzoni o dischi cercatevi un ventenne che si tatui fino alle piante dei piedi, che non sappia suonare alcun strumento e che posti una serie di facezie sulle sue pagine social, tipo il selfie in palestra con Obama. Se pensate di trovare il nuovo Lucio Battisti, lasciate perdere, anche se ci fosse da qualche parte, non se lo filerebbe nessuno.

E che dire della proposta persino irrisoria del leghista di turno che vuole imporre una legge in cui le radio siano obbligate a trasmettere una canzone italiana su tre? Chi fa musica italiana oggi? Un rapper? Un deejay di elettronica? Un rocker indie? Di quale musica italiana stanno cianciando?

E allora perché non proporre invece una legge dove un pezzo su tre sia di musica strumentale e non solo canzonette? Figuriamoci… la canzone preferita di Di Maio è “Finchè la barca va…”.

Quindi largo ai giovani, se poi vanno alla deriva al largo sono affari loro, se invece diventano pirati con il vento in poppa, facciamogli i complimenti e al bando le nostalgie.
Quelle servono solo a farci sentire ancora peggio.
Buon ascolto.

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