Questo ultimo lavoro dello storico gruppo vocale dei Manhattan Transfer, attivo sulla scena mondiale dal 1969, è il primo dopo la prematura dipartita del fondatore, Tim Hauser, avvenuta un paio d’anni fa, e sostituito da Trist Curless.
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Gli altri componenti storici, Janis Siegel, Cheryl Bentyne e Alan Paul sono pienamente in attività e collaborano alla scrittura di alcuni brani, di alcuni testi e di alcuni arrangiamenti.
Il quartetto ha proposto nella sua lunghissima carriera un modello di ispirazione universale per chiunque si fosse voluto cimentare, in tutto il mondo, nella particolare e difficile arte della armonizzazione vocale di ispirazione jazzistica; i precedenti storici, come soprattutto Hendricks, Lambert & Ross, avevano sicuramente aperto la strada, ma i quattro hanno saputo percorrere e approfondire degnamente il cammino.
Il nuovo album dei Manhattan Transfer, The Junction, (di cui vi abbiamo parlato in un precedente articolo) si apre con “Cantaloupe Island”, celebre standard di Herbie Hancock già variamente maltrattato nei tanti decenni della sua esistenza: non mancano i clichè, che comunque fanno parte del gioco, ma la classe c’è ancora e si fa sentire.
Anche la successiva “Swing Balboa”, composizione e arrangiamento di echi più antichi della precedente ma in ritmica molto attuale, esprime la maestria e il grande mestiere a cui i quattro ci hanno abituati in decine di anni di carriera. Occorre forse dire che lavorare su questo genere presenta gli stessi problemi di base della scrittura per fiati, cioè correttezza delle parti ed efficacia delle medesime, con in più la particolarità del lavoro sull’ensemble di voci umane, due maschietti e due femminucce con le loro personalità e le loro peculiarità. Inoltre essendo il repertorio per forza di cose sbilanciato verso una estetica di origine jazz, il rischio di essere fasulli nella pronuncia sul tempo, di essere farlocchi sul fraseggio e peggio ancora sugli scat, oltre che banali e pretenziosi nelle armonizzazioni, è grandissimo.
I lavori dei Manhattan hanno sempre dimostrato una buona conoscenza dell’armonizzazione, sia teorica che storica, la loro notevole capacità esecutiva non ha certo bisogno di conferme e questo è evidente ad esempio nel terzo brano “The man who sailed around his soul”, in cui oltre allo spessore dell’aspetto vocale ci sono dei buoni fiati e una ritmica efficacemente swing. In “Blues for Harry Bosch” l’atmosfera è più scura, il brano è molto complesso e l’arrangiamento notevolmente elaborato, il risultato è di grande contenuto musicale.
“Shake Ya Boogie” riporta ad un mondo più leggero, scrittura ritmica delle voci in evidenza, l’impasto timbrico è impressionante; coerentemente con il continuo cambio di ambientazione subentra poi una bossa, “Sometimes i do” e il positivo superamento di questa trappola consente di potersi già avventurare in una opinione positiva: il CD è bello e da riascoltare più volte con piacere e attenzione.
Subentra “Ugly Man”, un terzinato, altro terreno infido che i quattro attraversano con assoluta nonchalance e anzi proponendo un’esecuzione di gusto, vagamente ipnotica nel finale, ancora coadiuvati da un bell’arrangiamento.
Altro alleggerimento con la title track “The Junction”, ritmica binaria fortemente sintetica, il dialogo tra parti solistiche e risposte armonizzate supera felicemente in rischio del banale e del gigioneggiare e il risultato è veramente equilibrato e gradevole. Penultimo brano è la celeberrima “Tequila”, i nostri amici ne propongono una versione divertente e ironica ma non priva di begli spunti, facile prevedere che dal vivo costituirà uno dei momenti di maggior entusiasmo; l’album si chiude con “Paradise Found”, sapore di standard jazz vecchia maniera, di musical, toni soft e gran classe sia nelle voci che negli strumenti, chiusura degna di un lavoro che onora pienamente la memoria del compianto Hauser.
Non capita più tanto spesso di aver voglia di riascoltare subito un disco: i quattro dimostrano con questo lavoro che la musica pop ben scritta e ben eseguita esiste ancora. La grande curiosità è quella che riguarda il riscontro che questo album avrà: esiste ancora, anche, il pubblico della musica leggera ben fatta o è ridotto ad una esile e commercialmente inutile minoranza?
TRACKLIST The Junction – Manhattan Transfer
01. Cantaloop (Flip Out!) – (04:43)
02. Swing Balboa (Down on Riverside) – (03:11)
03. The Man Who Sailed Around His Soul – (03:49)
04. Blues For Harry Bosch – (04:24)
05. Shake Ya Boogie – Galactic Vocal Version – (04:23)
06. Sometimes I Do – (04:54)
07. Ugly Man – (04:48)
08. The Junction – (04:56)
09. Tequila / The Way Of The Booze – (03:04)
10. Paradise Within (Paradise Found) – (05:00)
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